La grande crisi della lettura -e della letteratura- può essere affrontata anche attraverso un’operazione di rieducazione al libro inteso come creatore reale di senso. Lo fa Michela Musante attraverso il suo nuovo lavoro pubblicato da Ancora, “Prima eravamo azzurri. VagabonSaggi letterari” (173 pagine, 18 euro), che è un insieme di consigli di lettura e di considerazioni personali (e profonde) su autori e testi proposti.
Musante sa bene come creare attenzione sul difficile bene librario, visto che insegna in un liceo e scrive su riviste letterarie, oltre ad essere autrice di un’opera, “L’Ospite” in cui viene narrata una storia di grande personale sofferenza: il suo è un modo piuttosto nuovo di proporre la lettura, perché in ogni singola proposta riesce a collegare notizie autoriali, presentazione dell’opera e “attraversamento” personale. Succede quando l’autrice ci parla di “Caduto fuori dal tempo” di David Grossman, o quando penetra nel dolore senza fiato, e parole, di Joyce Carol Oates o di una Susan Sontag narrata a sua volta da Benjamin Moser.
O quando sconfina dal continente letteratura per addentrarsi nei mari dell’arte, ad esempio quella di Fernando Botero e di una parte, l’espansione del corpo, scambiata per un tutto paradossalmente limitativo.
Ma soprattutto il monologo dialogante del personaggio narrato -e dell’autrice- emerge quando al centro della pagina si staglia il grande padre Dante, colto nella parte finale della sua vita-esilio, nel suo rimuginare sul passato, sulla fraterna amicizia con Guido Cavalcanti, diventata poi separazione abissale.
Un altro momento di profonda empatia si manifesta quando Musante invita il lettore all’attenzione per “Il Maestro e Margherita” di Michail Bulgakov: si entra in un labirinto -e non è un caso che qui si parli anche di Borges e dei suoi percorsi senza fine- in cui ci si avvicina al cuore indicibile del senso. Perché questo romanzo, pubblicato postumo a causa dell’occhiuta censura staliniana, è un universo inesauribile di significato, “un’opera”, nota l’autrice che evoca “più mondi paralleli e situazioni grottesche” e che fonde insieme satira, comico, tragedia, religione e politica. È a Mosca che si svolgono storie d’amore, dove uno sfortunato scrittore narra il processo di Gesù e le contraddizioni di un potere distratto e stanco e si assiste all’arrivo di un diavolo che spariglia le carte della burocrazia sovietica. Un romanzo “pericoloso” per il regime di allora, perché rivelava le bassezze, il tramonto degli ideali e il bisogno sempre presente di una fede diversa e non legata alla materia.
Anche “Otello” di Shakespeare viene attualizzato in uno scenario di mescidazione etnica e culturale in cui l’armatura che difende un ragazzo dalle minacce esterne diventa la prigione silente e oscura in cui continua la tragedia della violenza come possesso terminale.
Un libro, questo “Prima eravamo azzurri” che non conosce etichette, per sé e per gli altri, perché qui si incontrano autrici d’oggi come Annie Ernaux o Jean Didion, classici moderni del calibro di Bradbury e Borges o più lontani nel tempo (ma non nel significato) come Jan Potocki, Leopardi, Shelley e molti altri che riprendono attualità grazie a libri come questo: familiari ma anche risentiti, come quando Musante riprende la dolente pagina del massacro di Ipazia.
Un libro anche utile, se a questo aggettivo togliamo la dimensione contemporanea di immediato ritorno materiale e riprendiamo l’antico e sempre valido senso di crescita complessiva.
Anche la scienza ci ha mostrato il grande benessere psichico e fisico portato dalla lettura e dal confronto con gli altri, anche attraverso la materiale pagina.