Al Musme Martina Caironi, Bebe Vio e Alex Zanardi si “espongono” nella nuova sezione Sport Tecnologia e Disabilità

Una nuova installazione al Museo Musme dedicata a Sport, Tecnologia e Disabilità. Tre campioni, Martina Caironi, Bebe Voi e Alex Zanardi, mettono a disposizione i supporti con cui hanno vinto gare di livello mondiale: la gamba di Martina, diventata la donna con protesi più veloce al mondo; il braccio di Bebe usato negli allenamenti e nelle gare dal gennaio 2010 ai Mondiali di Budapest dell'ottobre 2013 e la handbike di Alex con cui ha vinto l'oro alle Olimpiadi di Londra nel 2012. Accanto ai tre oggetti-simbolo anche dei video-testimonianza dei tre protagonisti che raccontano la loro passione ed esperienza.

Lodovica Vendemiati

redattore

«Porto più protesi dal 2007 – racconta Martina Caironi, nata a Bergamo nel 1989, pluricampionessa olimpica – più protesi perché ne ho diverse: da cammino, da salto, da snowboard. Una per ogni occasione. Ho subìto l’amputazione della gamba sinistra sopra il ginocchio a seguito di un incidente stradale in motorino nel 2007. Il mio timore era di dover dipendere dagli altri per il resto della vita. Ma in me si è fatta avanti la voglia di tornare a vivere. In questi casi si parte prima dall’aspetto protesico. Poi per me è arrivato lo sport ed è stato fondamentale. Ho dovuto imparare da zero a camminare, ma mi ha ridato l’aria sul viso, mi ha fatto sentire viva, potevo sudare. Inizialmente la corsa era poco fluida, quasi saltellante. Ho dovuto testare diverse protesi, totalmente differenti da quelle che uso oggi che sono per lo più elettroniche con le quali posso andare in montagna, pattinare, fare snowboard, anche se in realtà io ho la fortuna di poterne avere una per ogni attività».

L’installazione e le storie

Al Musme, al Museo di Medicina di Padova ora è esposta, in un’area adibita a Sport Tecnologia e Disabilità anche la sua protesi, il suo arto inferiore dedicato esclusivamente all’attività sportiva e all’allenamento, personalizzato con immagini e disegni dell’atleta, insieme alla handbike di Alex Zanardi utilizzata alle Olimpiadi di Londra nel 2012 e alla protesi di arto superiore di Bebe Vio, utilizzata nella scherma, realizzata in esclusiva per la campionessa, l’unica atleta para olimpica a tirare senza braccio armato.

Tre atleti, tre storie, tre esempi, tante emozioni. Martina è diventata la donna con protesi più veloce al mondo e alle sue protesi ha dato nomi buffi: con Berta cammina e va a ballare, con Cheeta corre e sente l’aria in volto. Alex, dopo l’incidente del 2001 in cui perde entrambi gli arti inferiori, scopre il mondo paraolimpico e si cimenta in gare paraciclistiche. Bebe, pratica scherma dall’età di 5 anni, nel 2008 una improvvisa meningite le causa un’estesa infezione ad avambracci e gambe. Ritorna in pedana e diventa la prima ed unica atleta al mondo a tirare di scherma senza braccia. Tre storie di volontà, di impegno, di voglia di farcela e di superarsi.

Alex Zanardi: la curiosità, la tenacia, la perseveranza

«La volontà – dice Alex Zanardi – serve per togliersi dai guai, ma se asservita a qualcosa che ci porta a dei traguardi assume un valore diverso, aiuta molto di più. Diventa piacere: mi alzo la mattina felice di andare a lavorare. Non vedi l’ora di fare qualcosa. E questo è quello che mi succede. Questa è la spinta che mi ha mosso e mi ha dato slancio, dopo l’incidente. Quando mi sono risvegliato senza gambe ho guardato la metà che era rimasta, non la metà che era andata persa. È stato questo a permettermi di iniziare a trasformare quanto era accaduto in una opportunità. E poi ci vuole curiosità: guardarsi attorno per trovare soluzioni magari applicate ad altri settori e trovare un modo per sfruttarle in altri campi. La curiosità deve accompagnare i giovani nel loro cammino, è il desiderio dell’individuo ad arrivare a destinazione nel miglior modo possibile».

Lo sport che cura

Lo sport nel caso dei tre atleti è antidoto all’apatia e all’isolamento, uno strumento per una riabilitazione fisica e psicologica che ridà passione e fiducia e favorisce il confronto con gli altri. Lo sport diventa elemento di rottura. E il valore dello sport è proprio questo, «veicolo e medicina per il superamento di ogni barriera. Una medicina che permette spesso di ri-diventare protagonisti della propria vita» dice Francesco Peghin, Presidente della Fondazione Musme.

Il Musme raccoglie queste sfide: l’obiettivo del Museo infatti non è solo raccontare una storia, quella della medicina, i suoi progressi, gli errori, le scoperte, ma proiettare una visione inclusiva della società che restituisca qualità alle nostre esistenze e dia valore alla persona, alla sua volontà, all’impegno e alla resilienza. Tutte caratteristiche ben incarnate nei tre atleti che hanno affrontato situazioni difficili, cambi di abitudini, spesso in condizione di fragilità ma ce l’hanno fatta, con coraggio e perseveranza. Grazie anche allo sport che insegna tantissime cose fra cui anche il valore della sconfitta e la capacità poi di rialzarsi, di ricominciare, di migliorarsi. Lo sport è benessere, dà qualità alla vita a tutte le persone. Sport e innovazione in campo medico e tecnologico poi sono il connubio perfetto per superare eventi negativi, traumi, malattie, menomazioni, al di là della disabilità fisica. L’attività dei paratleti rappresenta il risultato di una qualificata attività di ricerca biomeccanica e di avanzati procedimenti di manifattura. L’installazione con le protesi e la handbike si colloca proprio di fronte al primo esoscheletro della storia, quello di Fabrici D’Acquapendente che ha disegnato per la prima volta dei tutori ortopedici. Due epoche a confronto.

L’appello di Martina

«È fondamentale – conclude Martina Caironi, lanciando un appello sentito – poter riprendere una vita normale dopo un incidente. Essere autonomi, ritornare a fare le cose che si facevano, lo sport, camminare. Spesso per essere autonomi servono degli strumenti, degli ausili che costano. Il passo culturale che dobbiamo fare, che deve fare l’Italia è capire che chi subisce una menomazione, ha un incidente, ha bisogno di normalità, ma qui ci vuole un cambiamento. In alcuni paesi europei le protesi, le buone protesi, sono passate dal sistema sanitario. Anche l’Italia dovrebbe mettersi al passo, il nomenclatore dovrebbe essere aggiornato, perché una buona protesi può fare la differenza. È importante che i disabili possano avere accesso alla tecnologia che si meritano».

Il Musme

Nato tre anni fa, è un museo di nuova generazione che racconta il percorso della medicina da disciplina antica a scienza moderna con particolare attenzione all’importante Scuola medica padovana. L’allestimento è ricco di postazioni interattive e multimediali ed è ospitato nel palazzo quattrocentesco sede del primo “hospitale” padovano, l’ospedale san Francesco Grande. Si snoda in tre piani e 8 spazio tematici dedicati ognuno ad un organo/apparato. Info: www.musme.it

[Ph. Nicolò Quareni]

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