Alexei Navlany, 44 anni, blogger seguitissimo dai giovani, principale oppositore politico del presidente Vladimir Putin, sta lottando tra la vita e la morte. Nessuno sa con esattezza cosa stia succedendo in questo momento all’ospedale di Omsk, la città siberiana dove è stato ricoverato per presunto avvelenamento. In attesa di chiarimenti, è però lunga la lista di casi sospetti che ci sono stati nel passato: da Aleksandr Litvinenko, l'ex agente dei servizi segreti russi, che fu avvelenato con il polonio; alla giornalista Anna Politkovskaja che ebbe anche lei un malore sull’aereo dopo aver bevuto qualcosa; fino al caso Skripal, ex spia russa che fu attaccato con gas nervino. Ne parliamo con il giornalista Fulvio Scaglione
“Bisogna evitare che si ammetta la brevettabilità” del futuro vaccino anti-Covid 19. “Il sistema dei brevetti si applica nei confronti dei beni privati e di alcuni beni pubblici ma non dei beni comuni. Quello che allora il Papa ha voluto dire ieri è che il vaccino per malattie infettive contagiose, deve essere riconosciuto in sede internazionale come bene comune e non come bene privato”. Così il presidente della Pontificia Accademia delle scienze sociali, Stefano Zamagni, a commento delle parole pronunciate ieri all’udienza sull’universalità del vaccino. “Vaccinare gli abbienti e trascurare i poveri - dice l’economista - equivale decretare l’estinzione di quest’ultimi. Ma questa sarebbe una forma nuova di razzismo di cui dovremmo solo vergognarci”
Oggi pomeriggio, alle 15, l’arcivescovo di Minsk, mons. Tadeusz Kondrusiewicz, ha pregato sotto la pioggia davanti al centro di detenzione in via Akrestsin a Minsk, luogo simbolo delle torture che hanno subito le persone arrestate durante le manifestazioni contro l’esito delle elezioni presidenziali del 9 agosto che hanno decretato per la sesta volta presidente Lukashenko.
C’è un’altra “piazza” in Bielorussia ed è quella dove cristiani di diverse confessioni si sono uniti in preghiera per la fine delle violenze in Bielorussia. A documentarla è un “reportage” fotografico pubblicato sul sito della Conferenza episcopale bielorussa, catholic.by. Il 13 agosto, cristiani di varie confessioni, ortodossi, cattolici e protestanti, rispondendo all’appello dei loro rispettivi pastori spirituali, si sono uniti in preghiera nelle principali chiese di Minsk per pregare per la fine delle violenze in Bielorussia e per una soluzione pacifica alla crisi socio-politica senza precedenti nella storia del Paese. La gente è scesa per la strade della capitale con in mano Bibbie, icone e rosari.
La possibilità di reintrodurre cori e cantori nelle celebrazioni liturgiche e la fine dell’obbligo del distanziamento interpersonale per i componenti dello stesso nucleo familiare o persone non legate da vincolo parentale ma che condividono abitualmente gli stessi luoghi.
“Possano le vostre mani, create per il lavoro pacifico e il saluto fraterno, non sollevarsi né con armi né con pietre. Lasciate che non prevalga la forza della violenza ma la forza dell'argomentazione, basata sul dialogo nella verità e sull'amore reciproco”. È il nuovo disperato appello per la pace dell’arcivescovo di Minsk, mons. Tadeusz Kondrusiewicz, che, per una soluzione della crisi, propone la convocazione immediata di uno speciale tavolo di confronto e dialogo tra le parti per decidere il futuro del Paese. Appello anche del vescovo di Vitebsk, mons. Aleh Butkevich: “C'è solo una via d'uscita: cercare la verità! È importante essere certi e difendere la verità, non l'inganno. Ma la verità non si trova dove c'è violenza”
“Siamo preoccupati e lo siamo da molto tempo. Da prima delle elezioni. Non sappiamo cosa potrà succedere domani. Per questo ho lanciato un appello al popolo cattolico di Bielorussia perché preghi la Madonna, Regina della pace. Anche ieri a messa abbiamo pregato perché si calmino la rabbia e le proteste. Ma lancio anche un appello al dialogo a tutte le parti coinvolte perché si possa insieme trovare una pacifica soluzione ai problemi. La violenza non è mai la via. Solo con il dialogo si costruisce il futuro”.
Il sabato della rabbia. A quattro giorni dalla terribile esplosione al porto di Beirut che ha ucciso almeno 158 persone e ferito altre 6.000, i libanesi sono scesi in piazza per dare voce a tutta la loro rabbia.
Dopo lo choc per le esplosioni di martedì 4 agosto che hanno raso al suolo il porto e distrutto parte dei quartieri cristiani limitrofi, sale la protesta della popolazione contro il governo, contro chi ha permesso questa tragedia per negligenza, contro una corruzione sistematica. Fady Noun, giornalista del quotidiano "L’Orient-Le jour", spiega: “Il Libano è in fallimento, la moneta è a terra, la corruzione è sistematica. È un male che divora da dentro. Di fronte a tutte queste crisi, si è aggiunta la crisi sanitaria per il Covid-19. Più che un cambio di governo, ciò di cui ha bisogno il Libano, oggi, è una nuova generazione di leader politici ma ciò richiede tempo”