Sono arrivati questa mattina all’aeroporto di Fiumicino 152 profughi afgani, venuti dal Pakistan con i corridoi umanitari, grazie a un protocollo con lo Stato italiano e la collaborazione dell’ambasciata d’Italia a Islamabad. “I corridoi umanitari lanciano un messaggio che è possibile trovare vie di accoglienza legali e in sicurezza”, ha detto mons. Giuseppe Baturi, segretario generale della Cei. “Non è possibile che chi fugge o chi ha bisogno di una vita dignitosa, venga affidato a mani delinquenti e criminali, a mani che sfruttano la sofferenza dell’uomo per interessi economici. Il fenomeno è globale. Globale deve essere anche la sua gestione”.
“Operazione Colomba” a Mykolaiv. Due ragazzi italiani hanno deciso di vivere per un periodo di tempo a Mykolaiv condividendo dentro un rifugio la vita di persone colpite dalla guerra. Danno una mano a distribuire gli aiuti umanitari ma non è questa la loro mission per quanto sia utile, anzi vitale. Giacomo e Matteo sono soprattutto una presenza di pace. “Noi qui non stiamo salvando nessuno”, precisa Matteo: “È solo un cammino che facciamo insieme ad altri. Vivendo così, ci accorgiamo che le ingiustizie vissute sulla pelle dell’altro diventano le nostre e questo avviene non per un atto di buonismo ma perché andandole a trovare, si capisce cosa le persone vivono e di cosa hanno bisogno e per questo farò di tutto, come che fossero miei fratelli, per cercare di alleviare le loro sofferenze”
Una chiesa in costruzione nel cuore di una città ferita dalla guerra. È la parrocchia greco-cattolica di padre Taras Pavlus. Nonostante si respiri un’aria di festa e di solennità per le candele accese, i canti intonati e le icone sacre, in realtà tutto attorno a questa piccola chiesa, sono ancora visibili i “segni” della guerra. Edifici sventrati e distrutti. Macerie per terra. Mezzi militari per le strade. Bunker e cavalli di fresia. “Abbiamo passato tempi molto duri. Oggi abbiamo speranza”. Il pensiero del parroco va poi al Papa di Roma: “Aspettiamo Papa Francesco. Oggi per noi Papa Francesco è una luce. Una sua visita qui in Ucraina potrebbe portare in questa terra martoriata dalla guerra, luce e speranza”
La vita nei rifugi di Kherson è impegnativa. Tra i pasti caldi da preparare, stanze e letti da sistemare, visitatori e persone in difficoltà da accogliere e aiuti umanitari da distribuire. Si diffondono di bocca in bocca gli orrori vissuti a Kherson e nei villaggi vicini. La fame. Le mine. Le torture. Dopo l'euforia della liberazione le scoperte di una realtà di morte e distruzione. Maria, 16 anni. "Faccio fatica a pensare al futuro. Ma dopo aver pianto il primo giorno di guerra, non l'ho fatto più"
Non ci sono solo gli sfollati interni a bussare alle porte della Caritas Spes Odessa. Ci sono anche i poveri, in aumento a causa della guerra. La crisi, la fame, la perdita del posto di lavoro, l’inflazione e la riduzione degli stipendi: sono gli “effetti collaterali” di una guerra che miete vittime non solo sui campi di battaglia ma anche in città. Ci siamo accorti – racconta padre Piotr Rosochacki – che nel centro dove vengono distribuiti i vestiti, le persone cominciavano a chiederci coperte e sacchi a pelo. Abbiamo così scoperto che non avevano più una casa dove andare a dormire e avevano bisogno di proteggersi dal freddo”
Erano le 8 di mattina ieri quando un allarme aereo è risuonato per oltre 3 ore in tutta l'Ucraina. Gli attacchi sono diffusi su tutto il Paese. L’invito è a recarsi nei rifugi. Odessa, Mykolaiv, Kherson, Zaporizhzhia, Donetsk, Dnepropetrovsk, Poltava, Zhytomyr. Anche l’arcivescovo maggiore di Kiev Sviatoslav Shevchuk lancia un appello: “Esorto tutti a non trascurare le regole e i segnali di allerta aerea, a stare attenti, rimanere nei rifugi e a fare di tutto per salvare la vostra vita e quella dei vostri cari''. A causa dei bombardamenti, circa 10.000.000 gli ucraini rimasti senza elettricità. Anche parti della città di Odessa sono inghiottite nel buio
La curia di Odessa è al buio. Da due giorni non c’è riscaldamento. Le reti Internet sono staccate. In queste condizioni il vescovo, mons. Stanislav Shyrokoradiuk Ofm, lavora e vive con il suo staff. Da quando è scoppiata in febbraio la guerra, l’episcopio ha aperto le porte a tutti. Ogni giorno dalla cucina si distribuiscono 70/80 pasti caldi. Due giorni fa, il “pulmino” donato da Papa Francesco, carico di aiuti umanitari, è riuscito a raggiungere Kherson. “Ringraziamo il Papa”, dice il vescovo, perché “mai perde l’opportunità di ricordare il popolo ucraino e pregare per la pace. Questi appelli ci fanno capire che il Papa non dimentica il popolo che soffre”
Il ministro degli Esteri, Nicu Popescu: "Ogni bomba che cade sull'Ucraina colpisce anche la Moldova e la nostra gente. Chiediamo alla Russia di fermare la distruzione ora". Mentre i missili russi colpivano la Polonia, i media moldavi segnalavano estesi blackout in buona parte del Paese, dal territorio della Transnistria alla capitale Chisinau. Ma non ci sono solo problemi alla rete elettrica. Ci sono anche gli allarmi bomba, l’aumento del costo della vita e della povertà, l'insofferenza della popolazione. Sono gli "effetti collaterali" della vicina guerra in Ucraina. Fattori diversi che si stanno incrociando e che inevitabilmente creano incertezza e tensione
Incontro coronato da una “stretta di mano” ieri a Bali, in Indonesia, nell’ambito del G20 tra il presidente Usa Joe Biden e il presidente cinese Xi Jinping. Oltre tre ore di negoziati, nessun comunicato congiunto e dichiarazioni separate, eppure convergenti su molti punti. Non succedeva da anni e quello di Bali è stato il primo incontro di persona da quando Biden e Xi sono entrambi presidenti