Doloroso paradosso: la guerra – principale causa di distruzione, sofferenza e morte nella storia dell’umanità – è allo stesso tempo la più potente fonte di innovazione tecnologica.
Contro la tecnocrazia, contro l’iper-individualismo, contro i sovranismi, contro la disumanizzazione dell’uomo di chi vorrebbe andare oltre l’uomo (transumanesimo).
Con la crisi del Covid, tra febbraio e marzo 2020, il termine di reshoring è tornato di moda. Se per offshoring intendiamo lo spostamento all’estero di intere filiere industriali per ragioni fiscali e di costi di produzione, il reshoring è il processo inverso, fatto per motivazioni legate alla sicurezza e all’autonomia strategica.
Comunicare la speranza è difficile se si è (di)sperati. Ma anche dalla disperazione si può guarire. Non è un caso – qualcuno la definirebbe una “Dio-incidenza” – che il giorno prima di partire per Roma per il Giubileo della Comunicazione mi sia ritrovato ad approfondire per WeCa il fenomeno del “doomscrolling”, uno dei centomila effetti collaterali dell’era digitale che possono capitare a un cristiano.
Guardare al digitale con speranza per un cristiano non è un’opzione, ma un dovere, anche e soprattutto perché sopra di esso si stanno addensando nubi minacciose.
A ogni sostituzione di calendario, esperti, commentatori e cronisti di ogni settore vengono messi all’angolo e costretti a vaticinare sui trend dell’anno che verrà.
Il ministro Valditara si è scagliato contro i «videogiochi violenti che stimolano l’aggressività», scatenando puntualmente le polemiche da parte di appassionati e di un’industria che, solo in Italia, muove più di due miliardi.
Questa settimana mi macchio di due peccati: la scarsa originalità, perché ne stanno parlando tutti e la ripetitività, perché già la scorsa settimana ne avevo parlato come “auto-ottundimento”. Ma la notizia c’è.