Con ironia il giornalista Paolo Mieli, ogni mattina su Radio24 con Simone Spetia, denuncia il fenomeno social da lui battezzato “io, io, io e il defunto”, l’irresistibile tentazione, di fronte alla morte di grandi figure di pubblicare sui social una propria foto d’archivio con il defunto enfatizzando non i meriti di chi ci ha lasciato ma la luce riflessa che si rifraziona su di noi e sul nostro narcisismo.
La scorsa settimana a Parma – in occasione del 24° Congresso nazionale della Società italiana di riabilitazione neurologica (Sirn) – si è parlato anche di intelligenza artificiale applicata alla pratica clinica.
Doloroso paradosso: la guerra – principale causa di distruzione, sofferenza e morte nella storia dell’umanità – è allo stesso tempo la più potente fonte di innovazione tecnologica.
Contro la tecnocrazia, contro l’iper-individualismo, contro i sovranismi, contro la disumanizzazione dell’uomo di chi vorrebbe andare oltre l’uomo (transumanesimo).
Con la crisi del Covid, tra febbraio e marzo 2020, il termine di reshoring è tornato di moda. Se per offshoring intendiamo lo spostamento all’estero di intere filiere industriali per ragioni fiscali e di costi di produzione, il reshoring è il processo inverso, fatto per motivazioni legate alla sicurezza e all’autonomia strategica.
Comunicare la speranza è difficile se si è (di)sperati. Ma anche dalla disperazione si può guarire. Non è un caso – qualcuno la definirebbe una “Dio-incidenza” – che il giorno prima di partire per Roma per il Giubileo della Comunicazione mi sia ritrovato ad approfondire per WeCa il fenomeno del “doomscrolling”, uno dei centomila effetti collaterali dell’era digitale che possono capitare a un cristiano.