Arrivata in Europa dall’America del Sud nel corso del Cinquecento, la patata è diventata un alimento cardine in molte Nazioni europee, ed è immancabile anche sulle tavole italiane. Il suo successo non fu però immediato: pare che a promuoverne il consumo sia stata soprattutto la carestia del 1816-17 e la ricerca di alimenti alternativi. Nella seconda metà del secolo arrivò anche sull’Altopiano di Asiago dove trovò, in particolare a Rotzo, un ambiente ideale grazie alla presenza di pietre e ghiaia che rendono il terreno sciolto e privo di ristagni idrici, un clima mite e una buona escursione termica tra il giorno e la notte. Molti iniziarono quindi a coltivarla, all’inizio solo per consumo personale.
Vista la qualità del prodotto e le ottime condizioni ambientali, nel Novecento Rotzo assunse importanza come luogo di coltivazione, per conto del Ministero dell’agricoltura, di patate da seme della varietà Bintje, che ancora oggi è la tipologia più coltivata nella zona assieme, in misura minore, alla rossa Desirée. A portare avanti la tradizione vi sono oggi numerose famiglie, proprietarie di piccoli appezzamenti, in gran parte riuniti in un’associazione di produttori che, quest’anno, ha compiuto i 25 anni di vita.
«Siamo in tutto 14 soci – racconta Matteo Dal Pozzo, presidente dell’Associazione Produttori Patata di Rotzo – e produciamo circa duemila quintali di patate all’anno, un terzo del totale. Quanto al resto della produzione, circa metà la fa un’unica azienda, la società agricola Zecchinati; quello che rimane viene da altre piccole aziende a carattere familiare. Come associazione, per statuto promuoviamo la coltivazione della patata varietà Bintje, che per caratteristiche organolettiche è un prodotto di eccellenza che nel nostro territorio trova terreno ideale, ed è perfetta per gli gnocchi. Purtroppo non ne possediamo il seme, che dobbiamo acquistare ogni anno ed è sempre più difficile da reperire».
La Bintje è, infatti, una patata di qualità, ma non ha grandi rese, è piccola e di forma irregolare, poco adatta al mercato e poco coltivata nel resto del mondo. Il raccolto, a Rotzo, non fa però fronte alle richieste e si moltiplica la domanda di seminare altre varietà più produttive: finora gli agricoltori hanno resistito.
«Dica pure che sono preoccupato e arrabbiato – afferma il sindaco di Rotzo, Lucio Spagnolo – perché ci sono voci che qui si compri prodotto da altri per rivenderlo come patate di Rotzo. Il nostro prodotto è venduto tutto prima di Natale, e non ci interessa squalificarlo. Se trovate in vendita a gennaio e febbraio patate definite di Rotzo, sappiate per certo che non sono nostre».
Il Comune negli ultimi due anni si è impegnato in un ulteriore progetto di valorizzazione: in collaborazione con Luisa Andrenelli dell’Università di Firenze e il sussidio di Giovanni Guarda, già direttore dell’Istituto di genetica e sperimentazione agraria “Strampelli” di Lonigo, si è riusciti a trovare un seme antico da un produttore di Asiago. «Si tratta di quella varietà viola – continua il sindaco – di cui parla anche Mario Rigoni Stern nel racconto Storia di Tönle, diffusa fin dall’Ottocento. L’abbiamo chiamata la “Mora della Reggenza”. Non è molto produttiva, non soppianterà nell’Altopiano le altre varietà, ma stiamo provando a riprodurla in una serra perché venga coltivata nuovamente e diventi un simbolo della storia della patata, un assaggio intelligente di un prodotto sano e coltivato da sempre».
Il terreno magro e il clima asciutto hanno reso l’Altopiano, e Rotzo in particolare, un luogo adatto alla coltivazione del tubero proveniente dalle Americhe. Se ne producono circa seimila quintali all’anno, quasi tutti di un’unica qualità, e c’è chi le prenota di anno in anno: il prodotto è poco e viene tutto venduto entro un paio di mesi dalla raccolta.