Sono giorni in cui tutti proviamo e subiamo il peso delle parole. Giorni in cui anche il silenzio pesa più ancora delle parole. Un sentimento che vedo diffondersi su ogni livello civile e religioso. Sono mesi infatti che, nel pieno di due guerre, stiamo assistendo a uno stordimento sociale che ci ha trascinati nell’assuefazione dell’orrore quotidiano senza fondo.
Dall’altra, ciò che sta arrivando dall’America di Trump non ha precedenti storici. Se la bilancia sembra pendere sempre più da una parte, fino a un mese fa potevamo contare su quel “contropeso” apportato dall’unica voce che poteva infastidire il presidente americano: la voce di papa Francesco. L’assenza da più di un mese delle sue parole, che martellavano contro il genocidio di Gaza, la tragedia Ucraina e gli stessi seminatori di morte (lobby) dei fabbricanti di armi, segnano ora un’assenza che gli stessi preti faticano a colmare. Questo lo intuisco ascoltando quelle prediche che offrono il polso dell’incapacità del clero di tradurre i valori evangelici in coraggio civile e religioso. Era lo stesso Bergoglio in salute ad ammonire contro le «prediche scialbe e senza midollo». Purtroppo ciò che vedo, in alcuni casi, sono preti che faticano a prendere posizione verso le questioni del mondo. L’ignavia resta così l’imperdonabile peccato civile da cui si dovrebbe prendere le distanze. Coraggio amici preti, non è tempo di bisbigliare, ma è tempo di urlare le parole del Vangelo. Ancor di più se alcuni problemi vengono proprio da un mondo che si definisce “cristiano”. Ricordiamoci che in Ucraina a trucidarsi sono cristiani contro cristiani. Che Trump invoca che «Dio benedica l’America», definendosi un “predestinato divino”. C’è un integralismo (opportunismo) anche cristiano, da cui serve prendere subito le distanze per non diventare complici e nel contempo vittime.
