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Tre Papi per il Vangelo di Giovanni
Le parole di Wojtyla, Ratzinger e Bergoglio per commentare il Vangelo della pesca miracolosa
Le parole di Wojtyla, Ratzinger e Bergoglio per commentare il Vangelo della pesca miracolosa
Domenica di vigilia del Conclave, liturgia caratterizzata dall’ultimo capitolo del Vangelo di Giovanni che racconta la terza e ultima manifestazione di Gesù, questa volta sulle rive del lago di Tiberiade, ma i suoi faticano a riconoscerlo. Il testo del quarto evangelista narra la volontà di Simon Pietro di uscire a pescare accompagnato dai suoi amici; escono ma tornano con le reti vuote: “quella notte non presero nulla”.
Il mare di Galilea è il luogo della chiamata dei primi discepoli: Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni. La barca, in un certo senso, è il luogo della prova, della paura di fronte al mare che simboleggia il male che minaccia la vita degli uomini. Ma è anche simbolo ecclesiale, luogo in cui la poca fede, per usare le parole di Matteo, è chiamata a diventare una fede matura.
In questo simbolicamente ci aiuta la scena del ritorno a riva, dove trovano Gesù, che non riconoscono; chiede loro del cibo e di fronte alla risposta negativa li invita a tornare a pescare: “gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete. La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci”. È a questo punto che capiscono di aver incontrato Gesù, che ora li aspetta sulla riva con la brace accesa e per loro cucina il pesce pescato. Giovanni, nel suo Vangelo, ci fa comprendere che fidandosi del Signore si possono superare le difficoltà. Pietro e suoi amici erano usciti assecondando una scelta personale, vissuta nell’assenza del Signore. Ascoltando e obbedendo alle parole di Gesù tornano con una pesca straordinaria, tanto che è faticoso portare a riva la rete con i 153 grossi pesci.
Come non vedere in questo episodio, si chiedeva Giovanni Paolo II, il 29 aprile 2001, un “segno eloquente di ciò che il Signore continua a compiere nella Chiesa e nel cuore dei credenti, che confidano senza riserve in lui?”. Il brano di Giovanni, spiegava il Papa nell’omelia, ci indica “come e quando possiamo incontrare Cristo risorto: nell’Eucaristia, dove Gesù è realmente presente sotto le specie del pane e del vino. Sarebbe triste se questa presenza amorosa del Salvatore, dopo tanto tempo, fosse ancora disconosciuta dall’umanità”.
Il 18 aprile 2010 Benedetto XVI è a Malta, celebra nel piazzale dei Granai a Floriana e, nell’omelia, ricorda il naufragio di Paolo e l’invito a porre fiducia solo in Dio, perché “in ogni momento della nostra vita dipendiamo interamente da Dio, nel quale viviamo, ci muoviamo ed abbiamo la nostra esistenza”. Poi si sofferma sul dialogo tra Gesù e Pietro il quale, durante la passione del Signore lo aveva rinnegato tra volte: “dopo la Resurrezione, Gesù lo invita tre volte a dichiarare il suo amore, offrendo in tal modo salvezza e perdono, e allo stesso tempo affidandogli la sua missione”.
Papa Francesco, il 14 aprile 2013, commenta il Vangelo di Giovanni proponendo tre verbi: annunciare, testimoniare, adorare. “Quando si sperimenta nella propria vita la presenza di Gesù – dice Francesco al Regina coeli – non si può fare a meno di comunicare questa esperienza”; e se si incontrano incomprensioni e avversità, il cristiano “risponde con l’amore e con la forza della verità”. Annunciare il Vangelo, dunque, ma soprattutto testimoniarlo, come diceva san Francesco ai suoi fratelli: “predicate il Vangelo e, se fosse necessario, anche con le parole. Predicare con la vita: la testimonianza”. Papa Francesco aggiunge: “l’incoerenza dei fedeli e dei Pastori tra quello che dicono e quello che fanno, tra la parola e il modo di vivere mina la credibilità della Chiesa”.
Infine, il terzo verbo: adorare il Signore. Questo significa non solo fargli posto nella nostra vita, ma metterlo al centro, “sentendo che la sua presenza è la più vera, la più buona, la più importante di tutte”. Significa ancora, “spogliarci dei tanti idoli, piccoli o grandi, che abbiamo e nei quali ci rifugiamo, nei quali cerchiamo e molte volte riponiamo la nostra sicurezza. Sono idoli che spesso teniamo ben nascosti; possono essere l’ambizione, il carrierismo, il gusto del successo, il mettere al centro se stessi, la tendenza a prevalere sugli altri, la pretesa di essere gli unici padroni della nostra vita, qualche peccato a cui siamo legati, e molti altri”.