Srebrenica: per non dimenticare
L'11 luglio si riporta alla memoria il genocidio di uomini e ragazzi a Srebrenica del 1995
L’11 luglio ricorrono 21 anni dal massacro di Srebrenica durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina svoltasi tra il 6 aprile 1992 e il 14 dicembre 1995, strettamente connessa con la dissoluzione della Jugoslavia. La guerra coinvolse principalmente serbi, croati e bosniaci.
Tra il 29 febbraio e il 1° marzo 1992 si tenne un referendum nel territorio della Bosnia ed Erzegovina per l’indipendenza dalla Jugoslavia. Il popolo serbo boicottò il referendum e andò a votare solo la parte croata e musulmana della popolazione, che espresse la volontà di separarsi da Belgrado.
A Sarajevo iniziarono azioni di guerriglia e i militari si stanziarono sulle alture attorno alla città che veniva colpita da granate e i civili venivano colpiti dai cecchini mentre cercavano provviste o mentre tentavano di andare al lavoro. La città rimase sotto assedio per 1300 giorni, privata dell’acqua, del cibo e dell’elettricità.
Srebrenica si trova nei pressi del confine serbo della Bosnia-Erzegovina.
Nei primi atti del conflitto venne presa dai serbi, costringendo i musulmani ad abbandonare la zona. I bosniaci la riconquistarono e divenne un’enclave musulmana.
La caduta di Srebrenica faceva parte del progetto di Radovan Karadzic, presidente serbo bosniaco, di conquistare le aree musulmane della Bosnia orientale per separarle e costringere gli abitanti musulmani a lasciarle.
Nel 1993 l’Onu classificò Srebrenica come “zona protetta”, così come lo erano Sarajevo, Tuzla, Zepa e Gorazde, per questo furono inviati 150 caschi blu di origine canadese a proteggere la popolazione.
I soldati Onu erano giovanissimi, disarmati e in numero insufficiente per proteggere la popolazione da un esercito armato. Dopo poco tempo i canadesi familiarizzarono con i soldati serbi e abusarono le ragazzine bosniache fatte prigioniere e prostituite dalle forze di Ratko Mladic, generale dell’ esercito della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina. La situazione era drammatica e nell’ estate del ’95 l’Onu sostituì i 150 canadesi con 600 olandesi.
La città di Srebrenica era priva di acqua, elettricità, medicine e cibo, e la gente era costretta a mangiare fieno, a inventare farine con qualsiasi cosa macinabile per fare il pane e a litigare per i rifornimenti di cibo, che spesso erano scaduti da anni, lanciati dagli aerei Nato. Nonostante l’arrivo degli olandesi le donne di Srebrenica vennero ugualmente abusate e la popolazione non venne protetta dalla minaccia rappresentata dall’esercito di Mladic.
L’11 luglio Mladic entrò a Srebrenica, annunciando alla tv serba di aver vendicato la presenza turca, ossia musulmana nella regione. I cittadini, in preda al panico, cercarono rifugio dai caschi blu, che non riuscendo a proteggerli di fatto li consegnarono al generale serbo.
Alcuni provarono a fuggire verso Tuzla, ma meno della metà arrivò a destinazione anche a causa del percorso minato. Le truppe di Mladic separarono tutti gli uomini dai bambini fino ai 12 anni e dalle donne. Gli uomini vennero uccisi e buttati in fosse comuni. Venne attuata una vera e propria pulizia etnica verso i musulmani, con l’obiettivo di creare un territorio dove abitassero solo serbi. La guerra si risolse con la stipula dell’accordo di Dayton, che pose fine alle ostilità. I responsabili delle violenze commesse sulla popolazione bosniaca si dichiarano non colpevoli, e solo 6 su 19 sono stati condannati dal tribunale internazionale dell’Aja. Anche dopo più di vent’anni rimane indelebile il ricordo dei crimini commessi durante quella guerra così vicina al nostro paese.
Federico Paccagnella