C’è un dialogo tra uomini di Dio che prosegue a Sotto il Monte

Dalla trepidazione all'annuncio del Concilio alla discreta insistenza che ha poi generato il "discorso alla luna" di papa Giovanni. Dalla Misericordia percepita da subito nel Vaticano II e poi ritrovata nel giubileo voluto da papa Francesco. Da quelle omelie che abbracciavano il mondo alle numerose visite a padre David Maria Turoldo a Padova. Don Gianfranco Zenatto, direttore della casa del clero di Padova, condivide la sua decennale amicizia con don Loris Capovilla, vescovo e cardinale. 

C’è un dialogo tra uomini di Dio che prosegue a Sotto il Monte

Giovedì 26 maggio «è tornato a Casa» don Loris Capovilla, arcivescovo e cardinale.

Questa è stata la telefonata del suo fedele assistente alle 14.45. Solo a pronunciare il nome di don Loris Capovilla viene spontaneo ricordare il suo essere stato per circa dieci anni segretario particolare del patriarca Roncalli, poi papa Giovanni XXIII. Di fatto per tutta la sua lunga vita è stato un testimone di papa Giovanni e del grande evento del concilio Vaticano II.

Tante persone ricordano che la sera dell’inizio del concilio il papa si affacciò alla finestra del suo studio e prima della benedizione rivolse alcuni pensieri che sono la sintesi del concilio. Tanti chiamano “il discorso della luna” quello alla finestra dell’11 ottobre 1962. E perché questo momento lo ricordo? Perché quell’affacciarsi alla finestra che è rimasto nel cuore del mondo fu “sollecitato” al papa proprio dal suo inseparabile segretario. Dopo alcune perplessità del papa, con molta discrezione don Loris fece presente che il popolo di Roma numerosissimo era venuto a pregare e ringraziare per l’evento che si era iniziato al mattino.

Nella pelle del suo superiore

Qualche mese fa don Loris disse: «Il segretario di un vescovo è quello che entra nella pelle del suo superiore». Così è stato per Roncalli con il vescovo Radini-Tedeschi, così per don Loris con papa Giovanni, a cui è rimasto fedele in tutta la sua testimonianza di vita. Però non è sempre stato facile neppure per lui. Quando papa Giovanni diede l’annuncio del Concilio, dopo la sorpresa ci fu in don Loris un po’ di trepidazione, preoccupazione. Il papa lo capì e fu così che una sera «...all’uscita di cappella dopo il rosario, ebbi la risposta che meritavano i miei dubbi e le mie paure: “Tu non ti sei ancora spogliato di te stesso, sei preoccupato di fare bella figura e proietti questa stessa preoccupazione sulla persona del tuo superiore. Solo dopo di aver messo il proprio io sotto i piedi un uomo riesce ad essere pienamente libero”. Papa Giovanni aveva messo il suo io sotto i piedi e ve lo teneva nel momento stesso in cui alcuni discepoli lo acclamavano, altri lo assecondavano, altri dubitavano». Questo grande insegnamento ed esempio è stato fatto proprio da don Loris che spesso lo ricordava a se stesso e agli amici.

Il Concilio della misericordia

Don Loris si è messo in cordiale ascolto degli insegnamenti del Concilio. Dalle sue cartelle di omelie, di discorsi, di riflessioni, di lettere spulcio una sintesi del Vaticano II: «Dai suoi inizi, il Vaticano II è stato una sfida all’arroganza dell’illuminismo e del materialismo teorico e pratico, così che allo spegnersi o affievolirsi dei lumi accesi dal progresso unicamente tecnico, ha fatto riapparire spendente il volto del Risorto. Meglio di prima, con la costituzione dogmatica Lumen Gentium, abbiamo capito chi siamo e dove dobbiamo dirigere i nostri passi. Con la Dei Verbum, quale lingua dobbiamo di preferenza parlare e quale messaggio diffondere nel mondo. Con la Sacrosanctum Concilium, come pregare e come valorizzare i sacramenti e i segni liturgici. Con la Gaudium et Spes, quale atteggiamento tenere dinanzi ai drammi dell’umanità contemporanea.

Sono i quattro pilastri che sorreggono saldamente la cupola del santuario conciliare! Attraverso questo provvidenziale evento, i vescovi hanno potuto sperimentare la reciproca conoscenza di persone, di luoghi, di storia, di tradizioni, di esperienze e di esigenze. Per la prima volta dalla fondazione della chiesa, stavano insieme vescovi “di ogni nazione che è sotto il cielo” (At 2,5); “uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione” (Ap 5,9).

Subito, a cominciare dall’11 ottobre 1962, venne spontaneo denominarlo il Concilio della misericordia, tale essendo stata la connotazione datagli da papa Giovanni, previa esplicita riaffermazione di fedeltà a tutto il patrimonio della divina rivelazione e della tradizione: “Sempre la chiesa si è opposta agli errori, spesso li ha condannati con la massima severità. Ora, tuttavia, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia, piuttosto che della severità. Essa ritiene di venire incontro ai bisogni di oggi mostrando la validità della sua dottrina, piuttosto che rinnovando condanne” (DMC, IV, p. 586)».

Ora siamo grati a papa Francesco per l’anno santo straordinario della misericordia e non possiamo dimenticare che la scelta di riscoprire la misericordia come essere specifico di Dio è un impegno del Vaticano II fatto personale cordialmente anche dal nostro don Loris.

Posso testimoniare che, specialmente in questi due ultimi anni, nelle telefonate quasi giornaliere il raccontarci della “fantasia e molteplicità” della misericordia di Dio era motivo per rallegrarci, esperimentare la fortezza e la bellezza dello Spirito Santo che continua a compiere meraviglie anche in questo momento storico con papa Francesco che ha fatto propria la testimonianza del concilio.

Un’omelia-messaggio

Il 27 settembre 1981, in occasione del battesimo di mio nipote Matteo nella parrocchia del Carmine di Padova, don Loris, arcivescovo prelato di Loreto, tenne l’omelia in forma di messaggio al battezzando pensando all’anno 2000 e riproponendo i temi del Vaticano II visti in qualche positiva applicazione, come per esempio un dialogo molto più stretto tra cristiani, tra credenti in Dio e con persone che cercano la verità e anche i non credenti. Sognava così in quel messaggio: «Il dicastero per il dialogo con le religioni monoteistiche (ebrei, musulmani, indù, buddisti) ha celebrato a Pechino il primo congresso mondiale Salus ex oriente, la salvezza viene dall’oriente. Le convergenze là proclamate, ancorché timide e minoritarie, saranno lievito e luce: un Dio unico, personale, creatore, legislatore, provvidente; un Dio che si rivela, che cammina con le sue creature; la spiritualità dell’anima, la libertà, la responsabilità, il merito, la sopravvivenza dell’uomo. La Cina ha mantenuto fede alla parola data negli anni Settanta. Con la sua millenaria sapienza ha saputo coniugare insieme libertà e impegno, personalismo e socializzazione: il pane, il vestito, il tetto, la scuola, la medicina a tutti, sembra che il respiro della libertà si sia dilatato. I cristiani sono là una minoranza rispettata, stimata, unita. Le rotture religiose degli anni Cinquanta sono state saldate. Il dicastero del colloquio con i non credenti ha compiuto considerevoli progressi. La realtà dell’ateismo – riconosciuto nell’Humanae salutis (il documento col quale venne indetto il Vaticano II) è sconcertante: “La società moderna si contraddistingue per un grande progresso materiale, a cui non corrisponde un eguale avanzamento in campo morale. Di qui, l’affievolito anelito verso i valori dello spirito, di qui la spinta verso la ricerca quasi esclusiva dei godimenti terreni, che il progresso tecnico mette con tanta facilità a portata di tutti. E di qui anche un fatto del tutto nuovo e sconcertante: l’esistenza cioè di un ateismo militante, operante su piano mondiale”. Tuttavia sembra attenuata quella iattanza che incuteva tanta pena. Dopo il manifesto del 1988, redatto dagli scienziati credenti, si è fatta strada una nuova riflessione. C’è nostalgia di Dio. I miscredenti chiedono aiuto. Riecheggia nel mondo più accorata che mai l’implorazione dei pellegrini ellenici: “Vogliamo vedere Gesù” (Gv 12,21)”».

Questa omelia è una testimonianza del suo «pensare in grande e guardare alto e lontano, al di là delle nostre vedute personali e del nostro piccolo orticello».

«La mia mano in benedizione per tutti»

In occasione dell’ultimo incontro in ospedale a Bergamo il 10 maggio scorso ancora una volta mi ha donato la ricchezza della sua vita. «Gianfranco non ho più fiato per parlarti e metto il mio cuore nel tuo cuore, i miei occhi per ora nei tuoi occhi... Salutami tutti i nostri cari delle famiglie… bacio il cuore di Gabriele (che tra poco compirà 2 anni) e tengo la mia mano in benedizione per tutti, ricordiamoci sempre nella preghiera. La misericordia di Dio, la maternità di Maria sia sempre la nostra gioia e il motivo della speranza».

Ho avuto la fortuna nei miei numerosissimi incontri con don Loris di accompagnarlo due volte all’ospedale Sant’Antonio di Padova per salutare e ravvivare nella fede padre David Maria Turoldo, là degente perché ammalato grave. Don Loris ha fatto la scelta di portare le sue spoglie proprio nel cimitero di Fontanella accanto alla tomba di padre Turoldo nel comune di Sotto il Monte Giovanni XXIII: il dialogo tra amici continua e la loro testimonianza è per noi.

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