Quarta domenica di Pasqua *Domenica 7 maggio 2017

Giovanni 10, 1-10

In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

La porta delle pecore

In questo tempo di Pasqua capita di ascoltare brani del vangelo di Giovanni, che non ha un anno tutto suo nella liturgia. Nelle sue pagine abbiamo l’opportunità di sentire lunghi insegnamenti che provengono da Gesù. A volte si ha l’impressione che tutte le parole che gli altri evangelisti non hanno trascritto le abbia riportate Giovanni, perché capita che in questo vangelo a qualche azione di Gesù seguono degli interrogatori con degli interlocutori che proseguono anche per più di un capitolo. Ora Gesù è a Gerusalemme e ha appena guarito un cieco nato, scatenando forte interesse e qualche malumore. Segue un lungo dialogo in cui Gesù inizia dando dei consigli ai suoi e finisce inevitabilmente ancora una volta per scontentare qualcuno e scatenare una protesta violenta. Nel discorso Gesù si presenta come una porta, anzi come una porta del tutto particolare: la porta delle pecore. Era una porta che ogni tanto si poteva trovare non solo come entrata degli ovili, ma anche lungo altri percorsi dove transitavano pastori con le loro pecore andando o tornando dal pascolo. Era più piccola e stretta delle porte normali, cosicché le pecore potevano passare una alla volta. Questi passaggi erano molto utili per i pastori perché lì avevano l’opportunità di contare le pecore in maniera sicura, e magari anche di controllarle con calma, per accertarsi che ogni cosa andasse per il meglio. 
Gesù sta tentando di presentarsi, di fare in modo che si capisca la sua vera identità permettendo così alle persone di potersi fidare di lui. I segni che compie, i miracoli non sempre sembrano sufficienti, così ricorre a delle immagini, a delle figure evocative. Questa porta ha lo scopo di presentarlo come un passaggio obbligatorio che introduce dentro la grandezza della vita vissuta insieme a Dio. Più avanti si definirà anche come il buon pastore; qui si limita a identificarsi con questo passaggio. Perché le pecore sono chiamate ad attraversarla questa porta e a uscire fuori dal recinto. Il pastore infatti le chiama. Ciascuna per nome. E loro si lasciano condurre fuori. Anche qui si mette in evidenza che ogni pecora viene conosciuta nella sua singolarità. Non si sta parlando di eventi generali. Sì, si ha a che fare con un branco di pecore, ma ognuna di queste pecore è ben definita, ognuna è ben conosciuta. E ognuna è chiamata fuori. Gesù si propone come colui che solo può tirare fuori ciascun uomo da qualsiasi tipo di recinto, di gabbia, di costrizione. Individuato lui, si può dirigersi verso di lui e usarlo come passaggio per poter uscire da ogni situazione di stallo, da ogni situazione sconveniente, da ogni situazione insopportabile, da ogni luogo dove l’aria si sia fatta troppo viziata per continuare a viverci.
Dentro il recinto che è la nostra vita può intrufolarsi chiunque, ma se lasciamo tranquillamente passare di tutto potremo anche avere a che fare spiacevolmente con ladri e briganti. Questi entrano per fare i loro interessi, spesso a scapito nostro. Magari a volte sono anche bravi ad abbindolarci e a farsi credere in qualche modo dei maestri. Ma il gioco non regge a lungo. Per questo Gesù si propone come l’unico passaggio valido. Come colui che può chiamarci e guidarci fuori. Non tutte le pecore però riescono in questo intento: bisogna essere infatti capaci di riconoscere il pastore che chiama e indica la porta. Le pecore che si lasciano ingannare da altre voci sono perdute. Le pecore che riconoscono la sua voce sono salve. Questo è quello che conta. Il gioco adesso consiste nel fare di tutto per conoscere questo Dio che si sta proponendo come salvatore, per poter poi riconoscerlo nel momento del bisogno, quando bisognerà affidarsi a una voce che ci faccia da guida.
Questo non è un concetto nuovo. Israele era abituato a pensare a se stesso come a un gregge di Dio. Nell’antico testamento sono diversi i personaggi che in qualche momento vengono chiamati con il nome di pastori di questo gregge: Mosè, Davide, qualcuno dei giudici. Anche l’imperatore Ciro viene definito pastore nel libro del profeta Isaia. C’è sempre stata l’idea di qualcuno che, particolarmente ispirato, poteva aiutare il popolo ad andare incontro al suo Signore e alla libertà da lui prospettata. E i profeti abbondano di rimproveri ai pastori che non sanno o vogliono compiere questo loro dovere. Ma in Gesù il discorso si concentra. Il messia diventa il pastore. L’unico. Non si parla più al plurale: lui è l’unico pastore che conduce alla porta, ed è venuto perché abbiamo la vita in abbondanza.
Può spaventare la presenza di ladri e briganti che rubano, uccidono e distruggono. Ma ci sono anche dei dati rassicuranti in questa immagine. Il pastore salva le pecore dal recinto. Non dice da un ovile, come ci si aspetta e come succedeva di solito. Il luogo è indefinito. Le pecore chiamate alla salvezza dal Signore vengono cercate e chiamate ovunque siano. E vengono chiamate tutte. È detto espressamente. Poi magari sceglieranno di seguire altre voci, però il pastore non si è dimenticato di nessuna. Ognuno ha la sua possibilità.

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