Ha dato voce all'Europa dei popoli

25 anni fa, quando andai a intervistare lo scrittore russo Andrej Pirlik, subito dopo il crollo del muro di Berlino, mi disse che l’esodo di massa, iniziato non appena dato l’annuncio dell’apertura delle frontiere, aveva soprattutto motivi economici: «La loro è un’economia alle corde. Chi vuole fare qualcosa vive nel vuoto». E poi pronosticava: «Ogni riforma passa prima o poi per l’abbattimento del muro di Berlino».

Ha dato voce all'Europa dei popoli

Davvero per quel crollo è passata non solo una riforma statale, con la riunificazione tedesca, ma la riforma di un intero continente, quello europeo. Anzi, del mondo intero, che ha imboccato con velocità crescente la strada della globalizzazione economica e culturale. Simbolicamente, la fine del muro ha segnato anzitutto la fine, almeno nella percezione comune, della Guerra fredda, della contrapposizione tra Est e Ovest. Una fine segnata dal prevalere del sistema capitalistico su quello collettivistico, dalla riconquista dei diritti fondamentali da parte di paesi e popolazioni che li avevano visti soffocati per decenni nel nome di interessi più alti, mai veramente realizzati.

Decenni di equilibrio del terrore, a livello internazionale, dove poco o niente si muoveva per paura di causare il “grande crollo”, la terza guerra mondiale che avrebbe inevitabilmente portato alla distruzione del pianeta. Dopo 25 anni possiamo dire che quel disgelo ha portato davvero a cambiamenti inimmaginabili, ha rimesso in moto la storia e ha stravolto la geografia politica, da un lato portando al ritorno al passato e dall’altro configurando macroscenari futuri, talmente vasti che anche il più vasto organismo di governo internazionale, quello delle Nazioni Unite, si è dimostrato impotente. Se l’effetto si è avvertito in tutto il mondo, è in Europa che questi cambiamenti hanno segnato più profondamente i destini dei popoli e dei singoli.

La geografia europea ne è uscita stravolta, con una riunificazione, quella tedesca, e tanti altri smembramenti, dalla Ceco-Slovacchia alla ex Jugoslavia fino alla creazione degli stati ex sovietici. L’Unione Europea ha subito una brusca accelerazione, sia nell’accoglienza di stati membri, sia nell’approfondimento delle competenze. Anche l’accelerazione nella creazione dell’euro, ad alcuni analisti politici, appare come una reazione europea all’espansione verso Est della Germania che avrebbe potuto essere attratta dall’egemonia orientale piuttosto che dall’integrazione occidentale.

Un’Europa più grande, quindi, e più unita. Anche un’Europa più forte? Su questo i dubbi ci sono, e fondati. Non è solo la crisi internazionale, che da anni sta colpendo duro e in modo diseguale, a far scricchiolare i consensi popolari nei confronti di politiche economiche che appaiono penalizzanti.
La crisi ucraina, che può essere considerata un’ennesima figlia, o almeno “figliastra” della caduta del muro di Berlino di 25 anni fa, sta mostrando ancora una volta quanto è vivo e attuale il bisogno di autodeterminazione dei popoli, che non accettano di “farsi governare” da politici se essi non sanno interpretare le loro aspirazioni.

Ma questo processo è fragile e può essere facilmente manipolato. Ha bisogno soprattutto di essere sostenuto da un grande senso di accoglienza, da un’esperienza di fraternità. Che cosa portano a casa dall’Europa, dall’Italia in cui vivono da anni, le “badanti” ucraine che assistono i nostri anziani? L’esperienza di un paese che ha ottime leggi di tutela del lavoro, ma che poi nella realtà trova mille scappatoie per non applicarle? Dove il benessere è ancora elevato, ma la paura di condividerlo genera sfruttamento e ingiustizia? Dove la forbice tra ricchi e poveri si va allargando, a prescindere dall’impegno e dalle capacità personali, creando frustrazione e rabbiosa rassegnazione?

Se è così, il “muro di Berlino” sarà stato magari formalmente abbattuto, ma rimarrà alto e invalicabile il muro del sospetto, dell’intolleranza, dell’arroganza, del “razzismo” magari riluttante, ma subito percepibile appena dietro la patina di perbenismo opportunista. Un muro su cui si costruisce una ben povera Europa delle genti, da contrapporre a quella della finanza e del capitale, della precarietà e del ricatto.

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