Gli interessi italiani in Africa. Un continente strategico per l’industria

Ad Abidjan, capitale della Costa d’Avorio, i leader dell’Unione Africana e dell’Unione Europea si sono incontrati nel quinto vertice multilaterale, una occasione ai massimi livelli diplomatici per discutere di sviluppo, investimenti, immigrazione e politiche di cooperazione. Sono tanti i segni della presenza (e degli interessi economici) del nostro paese in Africa

Gli interessi italiani in Africa. Un continente strategico per l’industria

Il premier Paolo Gentiloni ha dato notevole respiro politico alla missione italiana: «L’obiettivo è quello di continuare a riportare l’Africa in cima alla nostra agenda di politica internazionale: siamo tutti consapevoli, e forse sono anche i grandi flussi migratori a ricordarcelo, che dal destino dell’Africa dipende anche il futuro dell’Europa.

Nel 2018 intendiamo organizzare un grande meeting delle pmi africane in Italia. Perché accanto a grande forniture e grandi settori dell’industria, c’è anche un tessuto straordinario di piccole e medie imprese cui l’Africa guarda con grande interesse e che vorremmo rivendicare con grande forza».

Gli interessi economici e commerciali italiani nel continente africano sono molteplici e si snodano lungo più linee storiche di cooperazione e di inter-scambio. Lasciando da parte la relazione privilegiata con la Libia, resasi spinosa e assai complicata dopo le primavere arabe e con l’avvento dell’Isis, va ricordato che l’Italia è il primo paese europeo per valore degli investimenti diretti esteri realizzati nel continente africano: 20 progetti per complessivi quattro miliardi di dollari solo nel 2016.

In Ghana per esempio, dove l’Eni (il vero “ministero” italiano della politica africana e mediorientale) è presente dai primi anni Sessanta, il “cane a sei zampe” ha estratto oltre 130 mila barili di olio al giorno e sono in via di definizione progetti per l’estrazione di petrolio e gas. Se la politica estera italiana è tacciata spesso di contare come il due di picche nelle questione internazionali, non è scontato rimarcare che gli investimenti italiani in Africa hanno rappresentato nel 2016 il 4,3 per cento del totale degli investimenti diretti nel continente.

Ma non ci sono solo interessi energetici: grandi gruppi attivi nel settore delle costruzioni e dell’ingegneria, come Salini Impregilo e Trevi, sono da decenni presenti in Africa e in particolare in Nigeria. Attualmente sono in corso contatti diplomatici molto avanzati per partnership nel settore delle infrastrutture in Ghana e in Senegal. Nell’ultimo rapporto della società di consulenza Ernst&Young sull’attrattività delle economie africane, si rileva che, a livello mondiale per valore degli investimenti, l’Italia nel 2016 è dietro solo a Cina (36,1 miliardi di dollari), Emirati Arabi Uniti (11 miliardi) e Marocco (4,8 miliardi).

Anche in Mozambico la presenza italiana si è fatta più incisiva, almeno dalla prima metà degli anni Novanta: decisiva la mediazione della Comunità di Sant’Egidio per il “cessate il fuoco” nella guerra civile (accordi di pace del 4 ottobre 1992); da allora gli italiani hanno buoni uffici nel paese. L’Eni, assieme a ExxonMobil, da anni gestisce nel paese attività nel settore della perforazione oceanica.

In Sudafrica, i progetti d’investimento italiani proseguono nei settori delle energie rinnovabili e dei prodotti di consumo, così come in Marocco, Egitto e Tunisia.

Sempre nella galassia multiforme dell’Eni, in Egitto sta assumendo dimensioni colossali il business del gas naturale nel giacimento di Zohr (nel 2015, ultimi dati disponibili, l’investimento era pari a sei miliardi di dollari). Tuttavia la presenza italiana sconta le grandi incognite dell’Africa, un intero continente definito “a statualità debole”, oggi più che mai amplificate da strategie – spesso conflittuali – di francesi, inglesi e soprattutto statunitensi. A cui si aggiunge, ed è questo il vero fattore cruciale dei prossimi anni, la strategia geo-commerciale africana e di approvvigionamento minerario della Cina.

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