Come si può comandare di amare? Chi sceglie di seguire Gesù non è costretto da nulla

Il Padre ci ha scelto, uno per uno, come figli amati, prima della creazione del mondo e Gesù ci ha confermato quell’amore di predilezione, rendendoci suoi fratelli ed amici

Come si può comandare di amare? Chi sceglie di seguire Gesù non è costretto da nulla

“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi”. Come si può comandare di amare? Può sembrare davvero un ossimoro, qualcosa di impossibile, eppure, è questo il nucleo incandescente e semplicissimo della Parola di Dio proclamata nella domenica che abbiamo alle spalle (cfr. Gv 15, 9-17).

È questa la buona notizia che, fin dai primi giorni dopo la Sua resurrezione, Gesù fa ardere nei cuori di quelli che lo seguono. Potremmo dire che la fede è tutta qui e non centrano l’obbiettivo quelli che descrivono il Cristianesimo come una mera religione secondo i parametri antichi. Chi sceglie di seguire Gesù non è costretto da nulla e non può sentirsi “re-legato” da chissà quali vincoli… Cristo ci traghetta oltre la legge scritta sulle tavole di pietra da Mosè presso il monte Sinai. “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi”. Mutuando la nota espressione di don Milani – all’epoca in favore della primigenia obiezione di coscienza al servizio militare – potremmo dire che per i cristiani l’ubbidienza non è mai stata una virtù. Il Dio a cui ci affidiamo non è un padrone che pretende cieca sottomissione alle sue regole e tanto meno l’esistenza dei credenti è la risultante di un adeguamento a norme e decreti, appunto “salvavita”. Non funziona così: chi professa che Gesù è il Figlio di Dio non gode di alcuno sconto sulla benché minima sofferenza, fisica o psichica. Il cristiano non è esente da fatiche ed angosce e soprattutto – può sembrare lapalissiano – ma muore; in modo più o meno drammatico; precoce, o sazio di giorni; d’improvviso, tragicamente, dopo lunga agonia, o serenamente nel sonno. Se il Regno dei cieli non è un’illusione per chi vi confida, non è certo neanche il premio garantito per chi ha accumulato un sufficiente numero di bollini su una tessera-punti da presentare a San Pietro. Non funziona così, senza nulla togliere alle pie aspirazioni dei nostri avi, a cui una dottrina, oggi evoluta, inculcava troppo stretti criteri meritocratici che non si attagliano ai misteri dei Novissimi, quella che oggi chiamasi, più correttamente, escatologia. Noi crediamo in Gesù che ha accolto la morte in croce per la redenzione di tutti, proprio tutti, anche di coloro che non lo hanno mai conosciuto, ma, al contempo – in una misteriosa dialettica fra la nostra storia e il tempo che per Lui è sempre eternità – Dio non ci violenta nella libertà: sta alla porta e bussa e solo a noi sta la scelta di aprirgli. Fin dai primi tempi dopo la morte di Gesù, quando ancora erano vivi molti di coloro che avevano potuto vederlo risorto in carne ed ossa e mangiare con loro…, poco dopo il tempo in cui Pietro, Giacomo e Giovanni e poi Paolo e Barnaba condividevano le reciproche rivelazioni fatte a loro dallo Spirito Santo, gli Atti e le Lettere – che vanno a comporre con i Vangeli e l’Apocalisse, l’intero Nuovo Testamento – attestano che non fu immediata l’elaborazione di quell’equilibrio fra la Grazia preveniente di Dio e il valore delle nostre opere, così come oggi noi lo accogliamo dalla tradizione cattolica e cerchiamo di testimoniarlo e viverlo concretamente, distinguendoci in questo dalle confessioni cristiane nate a partire dalla Riforma avviata da Lutero.

“Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda”. Faccio risuonare queste parole dentro di me, avendo nella mente e nel cuore gli occhi sorridenti di un neonato, un piccolo bis-cuginetto, che mi guardava silenzioso, poco prima che il sacerdote lo aspergesse con l’acqua del Battesimo. Sì, il Padre ci ha scelto, uno per uno, come figli amati, prima della creazione del mondo e Gesù ci ha confermato quell’amore di predilezione, rendendoci suoi fratelli ed amici. Un binomio che esiste solo nella vita secondo lo Spirito, altrimenti, senza la bontà misericordiosa di Dio, sono gli amici quelli che pensiamo di aver conquistato con le sole nostre forze e convinzioni, salvo poi essere magari traditi… mentre i parenti, più o meno stretti, ce li teniamo anche nostro malgrado e quanti litigi banali fra fratelli nell’adolescenza, possono, purtroppo, diventare muri invalicabili o ferite ancora sanguinanti da adulti? Ma le parole di Gesù sono un invito ad una speranza davvero indelebile, anche sotto la cappa delle nubi più oscure. Con ancora il sapore di buono di quel bimbo placido che oggi è un piccolo nuovo fratello in Cristo nel grande suo corpo che è la Chiesa, lodo il Signore perché è buono ed eterna la sua misericordia. Finché potremo ancora accendere la candela per un bimbo il giorno del suo Battesimo, non ci sarà buio che non possa essere illuminato.

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Fonte: Sir