Voce del verbo rimanere. Quanti mariti e quante mogli non riescono a rimanere? Rimanere fedeli, rimanere amanti, accudenti, premurosi, sorridenti

Dopo l’immagine del buon pastore, la scorsa Domenica è arrivata l’immagine di un agricoltore che conosce il terreno in cui pianta la sua vigna. Un Padre che ha una pazienza infinita con ciascuno di noi

Voce del verbo rimanere. Quanti mariti e quante mogli non riescono a rimanere? Rimanere fedeli, rimanere amanti, accudenti, premurosi, sorridenti

Continuando a porre mente al nostro rapporto col tempo, che la liturgia ci suggerisce, ammettiamo che il lunedì, in particolare, e poi a seguire gli altri giorni fino al sabato, non assumiamo l’umore e gli atteggiamenti che più potrebbero corrispondere a chi, la domenica, ha celebrato il giorno del Signore. È lì, infatti, che inizia la nostra settimana! Quella è la vetta dove il ghiacciaio brilla con i suoi cristalli di neve. Un luogo dello spirito, ma anche concreto e tangibile, dove possiamo attingere acqua, perché troviamo la fonte zampillante. Come quando, al termine di una salita estiva, che rende la gola arsa di sete, beviamo sorsi d’acqua trasparente con le nostre stesse mani messe a conca; e si pensi ad un nomade, smarrito nel deserto, arrivato finalmente in un’oasi lussureggiante; o a un naufrago disperato, che sbarca mezzo morto sulle nostre coste, dopo una traversata drammatica e si rianima, attaccandosi alla borraccia di un soccorritore. Quando torniamo al lavoro, allo studio, o comunque al ritmo feriale e ordinario delle nostre giornate, potremmo instillare nelle ore – e perfino nei minuti – la luce di un sole che non è certo quello atmosferico, in questa Primavera bizzarra, che ancora non è giunta su tutto lo Stivale. Il nostro sole è quello di Cristo Risorto, che, senza attenuarsi, rifulge vivido in questo tempo di Pasqua! La Parola ci incoraggia e ancora una volta è possibile accoglierla abbracciandoci idealmente come famiglie che, insieme, celebrano la gioia di sentirsi guidate per mano, da Colui che, quotidianamente e nello stesso tempo, è Via, Verità e Vita. Mutuando i versi di una struggente canzone d’amore di Fabrizio Moro (sempre di Amore stiamo parlando!): sarebbe bello che noi non potessimo fare a meno di Lui che è l’infinito fra i nostri desideri, Lui che è il sogno più grande fra i sogni più veri e questa canzone [la nostra vita], che gira e rigira la dedichiamo a Lui, il nostro unico Amore, il senso di ogni cosa che c’è. Eppure – qualcuno dirà – non c’è proprio nulla da cantare quando le fatiche, i dolori, anche i drammi e le tragedie senza senso, in cui, inevitabilmente, incespichiamo, oppure siamo invischiati, senza riuscire a liberarcene, come liane asfissianti, o nodi troppo intricati, o sabbie mobili, ci bloccano in una morsa mortale… Lo so, lungi da me facili irenismi, o ancor più il buonismo irrispettoso che spesso caratterizza quei fratelli troppo avvezzi ad una pacca sulle spalle e via…; oppure coloro che, senza la benché minima empatia, brandiscono la croce di Cristo come un vessillo toccasana, o, peggio, una bacchetta magica che fa passare la sofferenza. No, la nostra fede non è in un Dio “tappabuchi”, né in un Principe Valium che attutisce lo spasmo e ottunde la mente… Abbiamo da tempo gli strumenti per contestare a Marx che il cristianesimo sia l’oppio dei popoli… Noi crediamo che Gesù ci ha salvati tutti, ma lo ha fatto rimanendo sulla croce e passando attraverso i dolori del Calvario e poi sconfiggendo la grande e ultima avversaria che è la morte. Il verbo “rimanere” è risuonato più volte nella liturgia della Parola domenicale che abbiamo celebrato e può nutrire questi giorni. Dopo l’immagine del buon pastore, quella che è stata presentata, la scorsa Domenica, a tutti i fedeli, grandi e piccoli, è l’immagine di un agricoltore che conosce il terreno in cui pianta la sua vigna. Un Padre che ha una pazienza infinita con ciascuno di noi, che ci aspetta, che sa che i nostri tempi non sono i suoi, ma non per questo cerca di trarre fuori e far crescere le viti prima del tempo. Quanti papà siamo frettolosi, impazienti, irascibili con i nostri figli? Con il rischio concreto di scoraggiarli, farli sentire in difetto, alimentare i sensi di colpa che già autonomamente sorgono spontanei nell’animo di un bambino e poi ancora di più di un adolescente? Dio Padre, agricoltore, invece, al tempo stabilito, ha piantato la vigna che è Cristo Signore e noi, timidamente, per grazia, spesso anche nella più totale inconsapevolezza, ma in virtù del battesimo, siamo quei tralci che producono gemme e poi piccoli grappoli e poi grandi e maturi…, se solo rimaniamo in Lui (ecco, ancora una volta, il verbo centrale). Quante famiglie si sciolgono, apparentemente, come neve al sole, nella misteriosa libertà che Dio, per amore, non può non lasciare ad ogni uomo e donna della Terra? Quanti mariti e quante mogli non riescono a rimanere? Rimanere fedeli, rimanere amanti, accudenti, premurosi, sorridenti? In un’unica espressione, quanti non riescono a rimanere innestati nel loro matrimonio? Eppure, dal giorno della loro promessa reciproca, gli sposi, come ministri essi stessi del sacramento che hanno chiesto e ricevono, sanno e anzi vivono in Cristo la sorgente perenne del loro amore. Quale mistero insondabile è quello di un Dio che – con le parole di Dietrich Bonhoeffer – non realizza tutti i nostri desideri, però mantiene tutte le sue promesse, eppure non può impedire che uno sposo, o una sposa vengano meno e abbandonino il progetto d’amore che con l’altro e proprio con Dio hanno suggellato? Talvolta – non per imbarazzo, piuttosto per più profondo rispetto – è necessario arrendersi ad un silenzio orante, che affondi lo sguardo e il cuore nel mistero della libertà degli uomini Eppure – tornando all’agricoltore del Vangelo – se anche noi, abitanti di città più o meno grandi e più o meno affogate nel cemento e nello smog, sapessimo tornare alla bellezza della terra da cui germinano i frutti e alla soddisfazione data dallo spuntare di uno stelo, dopo tanta cura… Se sapessimo maggiormente rimanere affidati alla terra (che non tradisce), alla terra che dà il suo frutto, se sottoposta ad attenta “manutenzione”… sì, se assecondiamo la misericordia del Padre con la nostra risposta d’amore al Suo che sempre ci feconda e ci ispira nuove strade, allora, anche quando il cielo della nostra vita si tinge di scuro, nessuno potrà impedirci di gioire, per una speranza che non muore.

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Fonte: Sir