Quale soluzione per i ragazzi “difficili”? Il caso del ragazzo di Pordenone che terminerà la scuola in Dad

Nel caso sollevato dalla cronaca si evidenzia una questione di carattere generale che riguarda il rapporto scuola-famiglia e il compito educativo

Quale soluzione per i ragazzi “difficili”? Il caso del ragazzo di Pordenone che terminerà la scuola in Dad

La notizia viene da Pordenone e riguarda uno studente di terza media.
La scuola ha deciso di fargli terminare l’anno scolastico in Dad. In buona sostanza per lui le porte dell’aula dove ogni mattina si trovano i compagni resteranno chiuse e si collegherà a distanza. Non perderà le lezioni, dunque, ma le seguirà da casa.
A ben pensarci è effettivamente una decisione molto dura da parte dell’istituto scolastico che però precisa – racconta la cronaca – di aver ponderato per bene la situazione. Il ragazzino sarebbe stato già più volte ripreso e “sospeso” per comportamenti inappropriati e alla fine il Consiglio di Istituto avrebbe deciso per l’allontanamento dalla classe.
I media locali riportano di presunti atti di bullismo e di vandalismo, aggressività e danneggiamenti oltre che di un episodio scatenante per l’ultimo provvedimento: lo studente sarebbe stato sorpreso a cercare su internet le soluzioni alle prove Invalsi, durante il loro svolgimento.
Alla decisione della scuola segue la reazione della madre del ragazzo, che annuncia di essersi già rivolta a un avvocato, “perché quello che ci ha arrecato la scuola è un danno a tutti gli effetti”, sostiene la donna. “Un danno per mio figlio – ha spiegato alla stampa – ma anche per me, dal momento che ho un lavoro e che ho dovuto assumere una persona in grado di stare con mio figlio durante le ore di lezione a distanza”.
Per la madre la punizione sarebbe sproporzionata e ingiusta. Queste ancora le dichiarazioni della donna diffuse dai media: “Mio figlio è sicuramente un adolescente vivace. È attratto da quello che fanno i ragazzi più grandi di lui e dal mondo ‘proibito’ degli adulti. Ma non meritava una cosa del genere”. E’ sempre la mamma che riassume la situazione: il figlio avrebbe iniziato “con qualche marachella in classe”, finendo così “sospeso due volte, ciascuna per la durata di dieci giorni. Ho cercato di spiegare alla dirigenza scolastica che il ragazzo aveva bisogno dell’obbligo di frequenza, che in questo modo non lo si sarebbe aiutato. Ma tant’è, la decisione è stata questa. Nel secondo caso è stato sospeso in corrispondenza della gita scolastica di terza media, un momento chiave per ogni adolescente. Ci è rimasto male e non si è più ripreso”.
Nel caso sollevato dalla cronaca si evidenzia una questione di carattere generale che riguarda il rapporto scuola-famiglia e il compito educativo. In particolare, la mancata concordanza di vedute tra l’istituto scolastico e la madre dello studente “punito”. Scuola e genitori sembrano non intendersi o non ascoltarsi.
Non è questa la sede – né vi è alcuna intenzione – per dare ragioni o torti, però vale la pena di raccogliere il problema, che peraltro si presenta diverse volte, anche in forme drammatiche e violente, come purtroppo riferiscono le cronache. Si tratta di rilanciare una volta di più la necessità di un rapporto “amichevole” tra chi è responsabile a diversi livelli dell’educazione dei minori. Avendo a cuore anzitutto la loro promozione.
Va rinforzata la fiducia nelle istituzioni scolastiche e nelle loro competenze, a volte screditate ingiustamente. E nello stesso tempo va ricordata loro la necessità di fare tutti gli sforzi possibili per coinvolgere le famiglie.
Il tema della “comunità educante” – che non è solo un vecchio slogan – va in questa direzione.

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Fonte: Sir