Eurogruppo: bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto? La risposta Ue al Coronavirus
La riunione dei ministri delle Finanze dei Ventisette ha definito un intervento da oltre 500 miliardi per aiutare i cittadini europei e le imprese colpiti dalla crisi sanitaria ed economico-sociale causata dalla pandemia di Covid-19. A questi si aggiunge il “bazooka” da 750 miliardi della Bce, mentre si lavora a un possibile e innovativo “fondo di recupero”. Al di là della diatriba fra eurobond e Mes, l’Unione europea - non senza ritardi - sta facendo la sua parte. Rimane il freno proveniente da alcuni Stati membri
Dopo tre lunghe giornate di negoziazione è stato raggiunto un primo accordo su come l’Ue interverrà per aiutare i cittadini europei colpiti dalla crisi sanitaria ed economico-sociale causata dalla pandemia di Covid-19. Come dobbiamo valutare l’accordo? Il bicchiere è mezzo pieno oppure mezzo vuoto?
Per rispondere consideriamo intanto l’ordine di grandezza delle cifre in questione: il sistema degli aiuti comunitari per affrontare la crisi approvato all’Eurogruppo del 9 aprile (che dovranno essere tradotti in testi legislativi) prevede interventi per oltre cinquecento miliardi di euro, se consideriamo le tre linee di intervento finanziario già approvate, ai quali si debbono aggiungere potenzialmente circa altri cinquecento miliardi per il “fondo di recupero”, l’intervento più innovativo e rispetto al quale non è ancora stato definito se potrà finanziarsi a debito oppure no. Il negoziato continua cioè in merito a se sarà effettivamente un primo eurobond, di cui tanto si è parlato, oppure no; sarà però una forma di solidarietà, ha garantito la Merkel, cioè
i soldi verranno distribuiti ai vari Paesi dell’Unione in funzione del danno causato dalla crisi.
Fa poi sempre parte del sistema degli aiuti comunitari l’intervento, già deciso alcune settimane fa, di acquisto sui mercati da parte della Bce per 750 miliardi di euro senza restrizioni (in pratica, la Banca centrale europea potrà acquistare titoli di debito sia di Stati sia di imprese che chiedono finanziamenti oggi, anche al di fuori della proporzionalità al Pil, quindi ad esempio acquistando più titoli italiani che titoli tedeschi se i richiedenti finanziamento italiani ne avranno più bisogno di quelli tedeschi).
Se ora confrontiamo queste cifre con gli aiuti venuti, a vario titolo, da Paesi esterni all’Ue (aiuti effettivamente arrivati o solo promessi, aiuti in forma di donazioni o semplicemente forniture accompagnate da fattura da pagare), principalmente da Cina, Russia e Stati Uniti ma anche altri, stiamo parlando di un ordine di grandezza di qualche decina di milioni, che diventano poco oltre i cento milioni se arriveranno gli aiuti promessi dal Presidente Usa: in buona sostanza, l’ordine di grandezza degli interventi decisi in sede Ue è di centinaia di volte superiore a quella di tutti gli aiuti arrivati o promessi all’Italia da tutto il resto del mondo: la differenza tra un pasto completo, anzi vitto e alloggio, e al più un salatino di aperitivo. Non che la solidarietà di Paesi terzi non sia sia apprezzata (anche se spesso viene accompagnata da condizioni molto stringenti ed è tuttaltro che disinteressata), ma ogni ipotesi di sostituire la solidarietà intra-europea con quella proveniente da Paesi terzi è campata per aria.
In secondo luogo dobbiamo guardare al modo con cui vengono assunte le decisioni, ai processi decisionali: lenti o rapidi?
Troppo lenti, e spesso esasperanti, se guardiamo all’attuale dinamica della crisi, ma rapidissimi se consideriamo che in poche settimane sono caduti tabù e totem sostenuti da anni o decenni da rappresentanti politici verso le loro opinioni pubbliche nazionali. In pochi giorni abbiamo visto: la sospensione del limite all’indebitamento degli Stati, la sospensione degli aiuti di Stato (ed anzi l’incoraggiamento a proteggere le industrie strategiche e, in prospettiva, a ricostruire le catene produttive dentro ai confini del mercato unico, invece di delocalizzare in estremo oriente), l’acquisto a pieno regime di titoli di stato da parte della Bce, l’attivazione di linee di credito europee per supportare la lotta alla disoccupazione (principalmente Cig), e molto altro se il fondo di recupero verrà attivato.
Dobbiamo anche chiederci chi è l’Ue. In queste settimane abbiamo visto che le decisioni sono state molto diverse in funzione di quale sia stata l’autorità titolare del potere di prendere certe decisioni: Bce, Parlamento europeo e, in buona misura, la Commissione europea hanno preso decisioni rapide e in direzione di una maggiore solidarietà europea (decisioni avvenute non senza tensioni interne fortissime, però decisioni prese). Sono queste le istituzioni comunitarie o propriamente sovranazionali. Mentre le istituzioni cosiddette intergovernative degli Stati membri, quelle cioè dove a decidere sono gli Stati membri, come appunto l’Eurogruppo, hanno preso decisioni meno rapide e certamente molto meno solidali.
Infine, il dibattito pubblico europeo ha visto una comunicazione diretta e financo brutale come non mai: non ci sono stati infingimenti su quali siano le posizioni dei vari governi nazionali, e anche il dibattito a livello di opinioni pubbliche è stato, come di dice in gergo diplomatico, “franco”. Alla fin fine, in una famiglia è fondamentale parlarsi schiettamente, anche se bruscamente (certamente troppo, rasentando l’insulto, in alcuni casi, enfatizzati ma tutto sommato rari).
E dopo decenni la parola “solidarietà europea” è tornata ad avere una qualche sostanza.
Tardi, forse troppo tardi, ma almeno il dibattito torna a tenersi nei termini dai quali era stato portato via da ormai troppi decenni.
In conclusione, il bicchiere è senz’altro mezzo vuoto, e le prossime settimane e mesi saranno decisive per capire se l’Ue riuscirà a riempirlo oppure se anni di egoismi nazionali e di perseguimento di interessi di parte hanno portato via anche l’anima oltre ai contenuti. Però il bicchiere è anche – e per certi versi sorprendentemente se consideriamo tutto quello che è accaduto – mezzo pieno.
Edoardo Ongaro
docente di Public Management – Open University del Regno Unito