Nota politica. Tutelare la democrazia, bene fragile
C'è anche chi approfitta di questa crisi epocale per consolidare regimi antidemocratici di vecchio e nuovo conio.
Come se non bastasse la pandemia con il suo carico di morte e di stravolgimento della vita sociale; come se non bastassero le sue conseguenze devastanti sul piano economico e produttivo, c’è anche chi approfitta di questa crisi epocale per consolidare regimi antidemocratici di vecchio e nuovo conio. Non è una questione per menti sofisticate di fronte ai problemi drammatici che urgono. Questo è proprio quello che si cerca di far passare per disinnescare in radice le potenziali reazioni di un’opinione pubblica già duramente provata. Certo, prima di tutto ci sono vite umane da salvare e il nostro Paese, bisogna pur dirlo, è stato tra quelli che hanno scelto da subito e in modo assoluto questa priorità: basta guardarsi intorno per rendersi conto che non è stata una scelta scontata.
C’è senz’altro da mettere mano fin da ora a una ricostruzione economica che si preannuncia epocale, tamponando nel contempo le situazioni critiche che riguardano le famiglie e le categorie più in difficoltà. Ma dobbiamo anche prestare molta attenzione alla tenuta delle nostre democrazie che di fronte alle emergenze vengono messe alla prova in modo particolarmente severo. La necessità di concentrare la filiera delle decisioni, di semplificare tutte le procedure e persino di comprimere temporaneamente alcuni diritti fondamentali, mette i sistemi democratici in una condizione estrema, da gestire con grande equilibrio, mentre laddove la democrazia è già negata o ridotta a un simulacro l’emergenza diventa il pretesto per ulteriori giri di vite.
Lo stato di diritto, in cui la dignità della persona non può essere intaccata e tutti sono soggetti alla legge; in cui i poteri istituzionali si bilanciano tra loro, le elezioni non sono una delega in bianco a un leader e il confronto pluralistico è assicurato a tutti i livelli, dal Parlamento ai media, non è un lusso che durante un’emergenza non ci si possa concedere. Anzi, proprio in questa situazione, quando la società si ritrova più debole ed esposta, esso costituisce una forma impareggiabile di tutela soprattutto per i soggetti più fragili, per coloro che non hanno in sé la forza di opporsi agli abusi e ai soprusi. E che corrono il rischio di affidarsi a chi promette miracoli e protezione in cambio della libertà.
Non sono questioni astratte o lontane. Tutt’altro. La ventata populista, pur con esiti molto differenti da Paese a Paese, ha portato all’ordine del giorno questo genere di problemi. All’interno dell’Unione europea spicca il caso del premier ungherese Viktor Orban – già sotto osservazione da parte della Ue e sospeso dal Partito popolare europeo per le sue politiche illiberali – che ha colto l’occasione dell’emergenza da coronavirus per farsi attribuire pieni poteri a tempo indeterminato e per ridurre ancora di più di quanto non avesse fatto finora la libertà di espressione.
Se in Italia vigessero le sue regole, tanto per intendersi, coloro che in queste settimane criticano il governo finirebbero in galera. E tra questi sono in prima linea proprio i politici che pubblicamente hanno manifestato apprezzamento per Orban. Che a sua volta delle contraddizioni non si preoccupa, se da anni teorizza solennemente la “democrazia illiberale”, qualificandola per di più con l’aggettivo “cristiana”. Anche su questo uso strumentale del fattore religioso bisognerebbe tenere gli occhi ben aperti.