Commissione Ue fa il check-up alla salute in Europa. La speranza di vita non cresce più come in passato
L'esecutivo comunitario e l'Ocse pubblicano un ampio documento che tasta il polso della sanità nei Paesi dell'Unione, in quelli candidati e negli Efta. Si vive mediamente fino a 81 anni, ma con forti differenze tra uno Stato e l'altro. Tra le criticità il diffondersi delle malattie mentali, il fumo e l'abuso di alcol anche tra gli adolescenti
L’aumento della speranza di vita in Europa sta subendo un rallentamento; si diffondono invece le patologie dei Paesi “benestanti”, fra cui obesità, diabete, eccesso di alcool; le malattie mentali e i problemi psicologici stanno lievitando. Sono alcune delle caratteristiche che emergono dall’ultimo screening della salute e dei sistemi sanitari nell’Ue. Dove si confermano inoltre evidenti differenze tra uno Stato membro e l’altro.
Stili di vita, minacce alla salute. La relazione intitolata “Health at a Glance: Europe 2018” (Uno sguardo alla sanità: Europa 2018) è pubblicata a cura della Commissione europea e dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici (Ocse): si basa su analisi comparative dello stato di salute dei cittadini dell’Unione e delle prestazioni dei sistemi sanitari nei 28 Stati membri, nei 5 Paesi balcanici candidati e in 3 Paesi Efta (Norvegia, Svizzera, Islanda). Il primo dato che si scopre riguarda appunto l’aumento della speranza di vita, il quale ha subito un rallentamento, mentre “permangono ampi divari tra i Paesi e al loro interno, le cui conseguenze colpiscono in particolare le persone con un basso livello di istruzione”.
Insomma, l’Europa è tra le regioni al mondo dove si vive più a lungo, ma la crescita dell’età non è, ovviamente, infinita. Essa è legata alle cure mediche, agli stili di vita, all’alimentazione e a innumerevoli altri fattori, come, ad esempio, il lavoro che si svolge. Vytenis Andriukaitis, commissario per la salute e la sicurezza alimentare, commenta: “Anche se la speranza di vita nell’Unione è tra le più elevate al mondo, non dobbiamo abbassare la guardia. Si potrebbero salvare molte vite adoperandosi maggiormente per promuovere stili di vita sani e affrontare fattori di rischio quali il fumo o la mancanza di attività fisica”. Il fatto che le malattie cardiache siano in cima alle cause di morte la dice lunga proprio su queste “minacce” alla salute.
Acceso universale alle cure mediche. La relazione nei suoi innumerevoli capitoli esorta ad affrontare fattori di rischio come il fumo, l’alcol e l’obesità, a ridurre la mortalità infantile, a “garantire l’accesso universale all’assistenza e a rafforzare la resilienza dei sistemi sanitari”. Tornando alla speranza di vita – che è considerato un elemento-chiave per verificare lo “stato di salute” di una popolazione – si evidenzia che essa è cresciuta in tutta Europa, pur con livelli differenti, fino al 2011: poi tale indicatore ha “registrato un netto rallentamento” (la crisi economica può essere tra le cause indirette?). Permangono poi forti differenze nell’aspettativa di vita non solo tra donne e uomini (le prime vivono più a lungo dei secondi), ma anche per status socioeconomico. Una osservazione sorprendente: “In media, nell’Ue gli uomini trentenni – si legge – con un livello di istruzione basso hanno un’aspettativa di vita di 8 anni inferiore rispetto a quelli che possiedono un titolo di studio universitario”. I Paesi dove si vive più a lungo sono comunque Spagna e Italia, oltre 83 anni. Mentre in Bulgaria, Lettonia e Lituania la media non arriva a 75 anni. La media Ue si aggira attorno agli 81 anni.
Salute mentale: un problema. Tra gli altri dati interessanti, quello riguardante le “84mila persone morte a causa delle conseguenze di problemi di salute mentale in tutta Europa” nel 2015. “Si stima che i costi complessivi derivanti dai problemi di salute mentale ammontino a oltre 600 miliardi di euro l’anno”. Allarmante anche quel 40% di adolescenti che “ammette di aver bevuto fino ad ubriacarsi almeno una volta nel mese precedente”. Sebbene le politiche di controllo sull’alcol “abbiano contribuito a ridurne il consumo complessivo in numerosi Paesi dell’Unione – commenta la relazione –, l’abuso di alcol fra gli adolescenti e gli adulti resta un problema di sanità pubblica importante”.
Sanità pubblica e privata. C’è poi la parte dedicata alla organizzazione sanitaria e alla sua funzionalità. “Dati provenienti da diversi Paesi indicano che fino al 20% della spesa sanitaria potrebbe essere destinato ad un uso migliore”. Utilizzando “una combinazione di leve strategiche si potrebbe ottimizzare la spesa garantendone un migliore rendimento, ad esempio per quanto riguarda la selezione, la copertura, l’acquisto e la fissazione dei prezzi dei farmaci attraverso la valutazione delle tecnologie sanitarie”. Una postilla segnala che i nuclei familiari a basso reddito “sono cinque volte più esposti al rischio di esigenze sanitarie non soddisfatte rispetto alle famiglie a reddito elevato”. Il tutto legato al Paese – persino alla regione – in cui si vive e alle disponibilità economiche delle famiglie stesse che con i soldi possono eventualmente scegliere dove, da chi e come farsi curare (in relazione all’efficienza e diffusione territoriale dei sistemi sanitari pubblici e alla presenza della sanità “privata”).
Un aiuto per gli Stati membri. Questo tipo di relazione Ue, con cadenza biennale, è stata avviata dalla Commissione nel 2016 allo scopo di “assistere gli Stati membri nel miglioramento della salute dei loro cittadini e delle prestazioni dei loro sistemi sanitari”. Sette Stati membri (Austria, Cipro, Finlandia, Italia, Paesi Bassi, Polonia e Svezia) hanno chiesto – afferma la Commissione – di realizzare uno scambio volontario per discutere i risultati e condividere le migliori pratiche.
La prossima relazione conterrà i profili sanitari per Paese ponendo in evidenza “le caratteristiche specifiche di ciascuno Stato membro e le relative sfide e saranno presentati insieme a una relazione di accompagnamento in cui la Commissione trarrà conclusioni trasversali”.