La forza della mia vita. Ieri come oggi l’arte può arrivare a scuotere gli animi al punto da disturbare. E irritare

Sulla copertina del bollettino parrocchiale della cattedrale di S. Stefano a Vienna campeggia, su fondo bianco, un bambino con le ferite di Cristo

La forza della mia vita. Ieri come oggi l’arte può arrivare a scuotere gli animi al punto da disturbare. E irritare

In un affollato intreccio di scale e braccia, sono in cinque a calare il corpo esanime di Cristo dalla croce. E lì, ai piedi della croce, giace un altro corpo esanime. È quello di Maria, svenuta straziata dal dolore e accolta tra le braccia premurose della Maddalena. La “Deposizione dalla croce”, olio su tavola realizzato nel 1545 per la Cappella Orsini nella chiesa di Trinità dei Monti a Roma è l’opera più famosa di Daniele Ricciarelli, meglio noto come Daniele da Volterra (1509-1566). Per quanto sia considerato uno dei capolavori del Manierismo, sono sicuramente molte le persone che non hanno mai visto questo dipinto. Certamente, però, queste hanno ammirato almeno una volta quella che oggi potremmo definire la sua opera più virale. Portano, infatti, la firma di Daniele da Volterra i drappi di stoffa e le foglie di fico dipinti nel 1565, appena un anno dopo la morte di Michelangelo Buonarroti, per coprire i genitali di uomini e donne raffigurati nel Giudizio Universale nella Cappella Sistina. Un’opera, questa, che valse a Daniele da Volterra il soprannome di “Braghettone”, soprannome con cui è conosciuto ancora oggi. Il Concilio di Trento aveva condannato la nudità nell’arte religiosa e nel grande affresco di Michelangelo i corpi nudi non mancavano e “disturbavano” così tanto da rendere necessarie delle “pennellate riparatorie”.

Ieri come oggi l’arte può arrivare a scuotere gli animi al punto da disturbare. E irritare.

Sulla copertina del bollettino parrocchiale della cattedrale di S. Stefano a Vienna campeggia, su fondo bianco, un bambino con le ferite di Cristo. “Die Kraft meines Lebens (La forza della mia vita)” è il titolo di quest’immagine di grande impatto che, nelle intenzioni del suo autore, l’artista 75enne Gottfried Helnwein, mira a stimolare la riflessione sulla violenza contro i più deboli e si adatta, teologicamente, a Cristo che da innocente ha preso su di sé tutte le colpe dell’umanità per redimerla. 

Helnwein ha realizzato quell’immagine come seconda tappa di un trittico di “teli” per la cattedrale di Vienna. Un progetto artistico di ampio respiro, nato per accompagnare quest’anno i fedeli viennesi durante la quaresima, e poi nel tempo di Pasqua per giungere, infine, alla festa della Pentecoste. 

Ma i fedeli non vedranno mai questo “telo pasquale” che avrebbe dovuto coprire l’altare maggiore della cattedrale di S. Stefano per 50 giorni, fino a Pentecoste. 

Il Capitolo della cattedrale ha deciso, infatti, di interrompere il progetto artistico dell’artista viennese di fama internazionale, che sarebbe dovuto proseguire fino alla Lunga notte delle Chiese, in programma il 7 giugno. Una scelta sofferta, presa per evitare che la cattedrale venisse trasformata in un “luogo di polarizzazione”.

Diverse le voci di protesta – veicolate anche attraverso i social media (dove è stata promossa anche una raccolta di firme online) – che si sono levate per il “telo quaresimale”, presentato lo scorso 13 febbraio, alla vigilia del mercoledì delle Ceneri. 

A coprire la pala dell’altare maggiore Helnwein – che ad onor di cronaca non ha percepito un solo centesimo dalla cattedrale per l’intero progetto – ha pensato di proiettare l’immagine del Cristo della Sindone su uno sfondo viola, colore liturgico della Quaresima. Fin qui nulla di strano, se non fosse che il Cristo della Sindone è stato posto con la testa rivolta verso il basso, a ricordare la discesa di Gesù negli inferi, così come ripetiamo durante le celebrazioni nel Credo apostolico. A sinistra e a destra del presbiterio, due tele più piccole mostravano teschi dall’aspetto identico, anch’essi su fondo viola, a rappresentare il ‘memento mori’ che scandisce l’inizio della Quaresima: ricorda, uomo, che sei polvere e polvere ritornerai.

A spiegare il significato del trittico sono stati a febbraio lo stesso artista, il decano della cattedrale Toni Faber e il card. Christoph Schönborn, che durante la celebrazione del mercoledì delle Ceneri ha sottolineato come “il motivo del cadavere della Sindone di Torino ci ricorda che Cristo è morto per noi ed è sceso nel regno della morte”. Da qui la scelta di Helnwein di porre il Cristo della Sindone a testa in giù. Una scelta, questa, che ha trovato molti sostenitori tra fedeli e rappresentanti del mondo accademico, così come diversi detrattori, alcuni dei quali hanno addirittura ipotizzato che quell’immagine potesse celare una qualche forma di simbolismo satanico.

La notte di Pasqua il trittico quaresimale avrebbe dovuto essere sostituito dal “telo pasquale”. Ma il Capitolo della cattedrale, pur riconoscendo il messaggio tanto attuale quanto profondo contenuto nel bambino con le ferite di Cristo realizzata da Helnwein, in considerazione della solennità di Pasqua ha ritenuto che la rappresentazione drastica e fotorealistica di un bimbo sanguinante come elemento dominante del presbiterio, alto 14 metri, rischiasse di “disturbare le persone o ferire i loro sentimenti”. 

Una scelta non facile, quella del Capitolo di S. Stefano, che da anni in quaresima apre le porte della cattedrale alle installazioni di artisti contemporanei perché attraverso le loro opere stimolino la riflessione dei fedeli. Non sono certo mancate, in passato, le critiche.

Ma questa volta non si è voluto lasciare che, soprattutto a Pasqua, la cattedrale venisse trasformata in un “luogo di polarizzazione”, in un campo di battaglia ideologico tra quelle che sono diventate vere e proprie fazioni contrapposte. Tutto questo usando un metodo ahimè noto, che trasforma il dissenso e la critica, di per sé legittimi, in vere e proprie armi da usare contro l’altro, che vien così trasformato in un “nemico” da attaccare e distruggere. 

In televisione, così come sugli schermi di pc, smartphone e tablet, vediamo passare ogni giorno immagini di bambini che vivono in zone di guerra, sui cui corpi innocenti sono impresse le stigmate del conflitto armato. Ne vediamo così tanti che ci siamo abituati a questo orrore. Un orrore che Helnwein ha voluto porre al centro del suo “telo pasquale”, per ricordare a tutti noi che Gesù, risorgendo dai morti, ha vinto la morte. Ma non è stata una vittoria a buon mercato. E i segni sono ancora lì, impressi per sempre nel suo corpo al punto da divenire addirittura un elemento distintivo. 

Sul corpo di tanti bambini innocenti i segni della guerra – così come dei tanti conflitti tra adulti di cui i piccoli sono spesso vittime – rimarranno per sempre, anche quando le ferite si saranno rimarginate. Perché le ferite col tempo guariscono, ma i segni restano. Restano a ricordare il male subito. Ma, nella luce del mattino di Pasqua, rimangono soprattutto a tenere accesa la speranza e a ricordare la forza della Vita che vince ogni male. 

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Fonte: Sir