Storiella di cammelli e di dono

C’era una volta un cammelliere che aveva tre figli e, arrivato in punto di morte, volle dividere tra loro le sue ricchezze che constavano in undici cammelli. Decise che al primo figlio toccasse la metà dei suoi averi, al secondo figlio un quarto e al terzo figlio un sesto.

Storiella di cammelli e di dono

Alla morte del vecchio i figli aprirono il testamento e trovarono così divise le sue sostanze e cominciarono le liti: il primo avrebbe avuto diritto a cinque cammelli e mezzo e insisteva per averne sei, ma gli altri due chiedevano che si accontentasse, in fin dei conti aveva già ricevuto più di loro. Anche il secondo voleva arrotondare al rialzo e così il terzo. Dalle urla si passò alle mani, dalle mani si passò ai coltelli, e prima che succedesse l’irreparabile, passò davanti ai tre litiganti un uomo a piedi che portava per le redini un cammello passeggiando per le strade polverose di quella cittadina. Si fermò, comprese la situazione e decise di compiere un gesto straordinario, donò il suo cammello. A quel punto i conti furono facili da farsi: al primo figlio toccarono sei cammelli (12:2=6), il secondo figlio ne prese tre (12:4=3) e al terzo ne rimasero due (12:6=2). Nessuno si fece male, la rabbia svanì e la pace ritornò. Appare una storia semplice, a dir quasi banale, che sembra ci voglia far ragionare sul fatto che ogni tanto fare un gesto di gratuità serve agli altri per risolvere delle situazioni controverse. Sembra quasi vi stia incitando al buonismo sempre troppo diffuso nei nostri gesti che si accontentano di qualche euro dato qua e là, per metterci a posto la coscienza. Ma il centro della storia credo abbia dei risvolti ben più caratterizzanti; intanto i verbi che accompagnano il cammelliere: si fermò, comprese e decise. Tre atteggiamenti che sono propedeutici al dono incondizionato, tre disponibilità che nascono dal desiderio di incontrare il nostro prossimo. Se non ci fossero stati, il miracolo non si sarebbe compiuto. Dobbiamo abituarci a questa virtù, cioè abitare il desiderio dell’incontro, esprimerlo con vigore ed esercitarlo quotidianamente, anche oggi. Si fermò: quante volte la fretta, la paura, la titubanza, il pregiudizio ci spinge a continuare per la nostra strada, invece di fermarci ad ascoltare, ad accogliere. Comprese: comprendere, prendere con, prendere insieme, prendere in sé; l’azione di fermarci offre l’occasione di prendere l’altro con noi e farne parte di noi, così da sentirci nella sua stessa situazione e cercare soluzioni, idee, persone, il bene. Donò: ecco il dono, il “donare” che è ben diverso dal “dare”; nel dare ci si aspetta di ricevere in cambio, nel donare c’è una sospensione del ricevere che diventa uno dei fattori di ri-generazione continua del legame. Il donatore non opera solo un trasferimento di un bene, non dà solo qualcosa di materialmente apprezzabile e misurabile in termini di valore, dà anche una parte di sé, del suo essere all’altro. Donare in questo senso vuol dire rinunciare a una parte di sé stessi, per affermare l’identità di un altro. Il dono muove da un principio di gratuità, non di calcolo. «Si dona perché si è ricevuto, dunque si sta sempre ricambiando; ma si riceve sempre di più di quel che si dà» J. Godbout. Il dono afferma il primato della relazione sul bene donato, l’identità e il valore della persona sull’utile, l’interesse per gli altri sull’esclusivo interesse personale. E non è finita. I tre fratelli hanno ereditato i cammelli del padre, ma quanti? Sei il primo figlio, tre il secondo e due il terzo che fa 11! Proprio quelli che il padre gli aveva lasciato. Ma allora il cammello che quel signore gli aveva donato che fine ha fatto? Se lo è ripreso e ha continuato il suo cammino, apparentemente come se niente fosse accaduto. Ma con qualcosa in più. Un’esperienza di dono che è già stato ricambiato nella vita salva quei fratelli e un senso di bene che gli ha allargato il cuore.

Matteo Pasqual
Educatore, Pedagogista, Filosofo clinico e Formatore sociale

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