L’affetto e l’apprensione con cui tutti, credenti o no, stanno seguendo le notizie sull’intervento cui è stato recentemente sottoposto Francesco, la stessa attenzione del Papa per la sofferenza dei bimbi degenti nei reparti oncologici, ci fanno riflettere su quanto la sofferenza, interiore e fisica, abbia attraversato l’esistenza di tutti. Ponendoci domande sul senso stesso della vita. A partire da Alessandro Manzoni, l'incontro tra il dolore reale - e quello narrato - ci fa riflettere su quanto il percorso dell’arte, da quella della parola a quella dell’immagine, abbia attraversato la nostra storia
A Wembley la finale d’Europa calcistica, a Wimbledon, a sedici chilometri più a Sud, un’altra storia che pochi avrebbero pensato potesse divenire realtà: a sfidare l’onnivoro numero uno del tennis mondiale, in una partita durata 3 ore e 24 minuti, è stato un ragazzo italiano. E, comunque sia andata, non è stato un caso, perché dietro questa prima finale a Church road per un italiano ci sono duri e continui allenamenti, affetti, famiglia, gruppo, umiltà e talento. Dopo 144 anni - quasi un secolo e mezzo dalla fondazione - un italiano ha giocato una finale, qui nel tempio del tennis, 45 anni dopo quella vinta sulla terra del Roland Garros da un altro italiano, Adriano Panatta, guarda caso pure lui di Roma. Anche se stavolta è stato diverso, perché qui eravamo sull’erba, e Matteo giocava contro il più forte tennista di tutti i tempi, in grado di eccellere su qualsiasi superficie
Raffaella è stata un personaggio internazionale, certo, legata a brani e trasmissioni più leggere, da Canzonissima a Milleluci con Mina, da Fantastico (con Gigi Sabani altri miti del calibro di Corrado e Renato Zero) a "Carramba! Che sorpresa", prima di andarsene, poche ore fa. Senza clamore, e lasciando molti nel dolore e nel rimpianto. E non sono state parole di maniera. Raffaella Carrà ha rappresentato l’equilibrio che ha accompagnato periodi difficilissimi della nostra storia, anni di piombo e delitto Moro compresi, in cui l’apparizione televisiva non era espediente per l’esibizione trasgressiva fine a se stessa, ma una sorta di continua mediazione in progress verso la cosiddetta modernità. Un’icona assoluta e baciata dal dono della misura pur nel sorridente e inevitabile viaggio mediatico verso la modernità.
La ricerca del ristabilimento dell’ordine è tutt’uno con il percorso interiore, il che non vuol dire irreale, verso il benessere dell’anima, che è in simbiosi con quello del corpo.
Giorgio Petrocchi (Tivoli, 1921- Roma, 1989) è stato uno dei più grandi esegeti di Dante. La sua edizione critica della Commedia dantesca, realizzata sulla base della tradizione manoscritta anteriore a Boccaccio, rimane un punto di riferimento essenziale per qualsiasi approfondimento sull’opera del Fiorentino. Ora la città di Tivoli, dove Petrocchi vide la luce cento anni fa, decide di rendere omaggio al grande filologo e storico della letteratura con un convegno che si terrà sabato 3 luglio nella corte di uno dei monumenti storici della città latina, la Rocca Pia, fatta costruire da papa Pio II Piccolomini nel 1461