Rubriche | Inchieste
Veneto, la grande bellezza nascosta
Non solo Venezia. È una terra di luoghi segreti, emozioni, ricordi... Le presenze turistiche continuano ad aumentare in tutta la Regione. Due parole con Romolo Bugaro, scrittore.
Non solo Venezia. È una terra di luoghi segreti, emozioni, ricordi... Le presenze turistiche continuano ad aumentare in tutta la Regione. Due parole con Romolo Bugaro, scrittore.
Le statistiche consolidate relative al 2016 indicano in 17,9 milioni gli arrivi in Veneto con oltre 65 milioni di presenze. Un boom che sembra archiviare ogni record precedente, anche grazie ai “nuovi mercati” in Romania, Corea del Sud, Irlanda, Russia e India.Le presenze turistiche nella nostra regione si concentrano a Venezia e provincia con 34,4 milioni, ovvero più del doppio rispetto a Verona, mentre la provincia di Padova (con le terme e le città murate) si ferma a 5,2 milioni. La parte del leone nella ricezione spetta agli alberghi con 32,2 milioni, di cui la metà nelle strutture a 4 o 5 stelle. Altri 18,1 milioni di presenze sono in campeggi e villaggi turistici per lo più d’estate.Ma il Veneto non è solo Venezia, l’Arena, Giotto o il Santo. Ci sono luoghi segreti, emozioni incomparabili, eco di ricordi da scoprire (o riscoprire) intraprendendo un viaggio particolare quanto suggestivo lungo i confini e le pieghe della “città infinita”. Lontano dagli itinerari del turismo di massa, eppure davvero vicino all’identità di una regione sempre più smemorata, ma anche sempre meno disposta ad abdicare.
Romolo Bugaro, 56 anni, avvocato con vocazione letteraria di lungo corso, ha esordito con i racconti di Indianapolis nel 1993 per approdare alla selezione finale del premio Campiello con La buona e brava gente della nazione nel 1998 e poi con Il labirinito delle passioni perdute nel 2007. Ha pubblicato Bea vita! Crudo Nordest nella collana che Laterza dedica ai territori, mentre con Einaudi nel 2015 è uscito l’ultimo romanzo Effetto domino.
«C’è un posto segreto, assolutamente strepitoso, dove vado spesso…» ammicca, mentre cerca i dettagli topografici interrogando lo smartphone. «Dunque, Abano. Fuori dal centro termale, c’è una strada che si chiama… Appia Monterosso. Ecco, sì, giusto. E in fondo, girando a destra si arriva fino al parco di villa Bembiana. Un luogo fantastico: né colli né pianura. Magico, sospeso tra l’infinita distesa di campi e casolari e Monte Rosso che annuncia gli Euganei. È un parco enorme con alberi secolari e perfino una piscina al centro. È sempre vuoto e lì il tempo è totalmente sospeso, la quiete perfetta, una bellezza assoluta. Ti puoi sedere sulla panchina e stai fermo per ore. Senza scordare la magia delle statue che ti vengono incontro coperte dal muschio, con la loro età e il loro stesso isolamento. Tutto davvero magnifico. E non basta, perché subito fuori si trova il circuito podistico. Una stradina che raccoglie di nuovo l’intersezione fra pianura e colli. Sei ai piedi del monte in un punto perfetto, preciso, direi perfino chirurgico, in cui a destra vedi la pianura e a sinistra il colle. Due paesaggi diversi, eppure in qualche modo sintesi con il meglio di entrambi: la prospettiva aperta e il prologo del mondo euganeo».
Bugaro socchiude gli occhi, abbozza un altro sorriso e trova nella memoria la seconda “tappa” della sua originale guida alle meraviglie periferiche. È come se fosse già salito in bicicletta in via Facciolati, verso gli argini del Bacchiglione; e poi pedalasse da Ponte San Nicolò fino a Isola dell’Abbà. «Minuscola frazione con la chiesetta e quattro case vicino al fiume. Eppure da lì, volendo, si può arrivare mulinando su due ruote a Chioggia, cioè al mare», racconta a memoria. «L’argine è eccezionalmente alto rispetto al piano campagna. Sulla sommità la strada asfaltata, deserta, buona per le rare auto di chi vi abita. Così pedali dentro il cuore della nostra pianura, con a fianco il fiume che scorre. Magnifico per ciò che vedi nel silenzio: il martin pescatore che si tuffa e riemerge con il pesce nel becco, ma anche aironi e fagiani o lepri. Non si direbbe, eppure appena fuori città è pieno zeppo di animali… selvaggi. Ecco: in bicicletta, magari nelle belle giornate azzurre di primavera dopo la semina, ti ritrovi come sospeso fra il cielo e la volta verde della campagna. Due specie di “mari orizzontali” negli occhi che ti accompagnano verso il mare vero. Una bellezza, perché nella sua apparente monotonia contiene tutto».E anche in riva all’Adriatico la narrazione di Bugaro trova un nuovo pertugio verso la sorpresa. Punta l’indice nel tratto di costa che da Duna Verde approda a Eraclea nel Veneziano: passeggiata di qualche chilometro. «Anche lì un paesaggio incontaminato. Era la zona in cui per anni nel dopoguerra c’erano le colonie con la spiaggia riservata. Chiuse una dopo l’altra, perché passate di moda. Così quel tratto di spiaggia è tornato indietro: non c’è nessuno, rispunta la tipica macchia mediterranea. È il nulla in una spiaggia completamente libera, fra le due piccole Jesolo. Un vuoto perfetto, una spiaggia da anni ’50, incastonata come una gemma. Inizia e finisce all’improvviso dopo i bagni attrezzati. E al tramonto, d’estate, è un’esperienza indimenticabile».
A questo punto, quasi esplode l’omaggio a Ernest Hemingway: «A due passi da Caorle, andava a caccia in valle San Gaetano. Naturalmente, ci sono andato anch’io. Ma è stato il mio amico Checco Maino, l’autore del bellissimo “Cartongesso”, che si è meravigliato: “Vai in vacanza ogni estate da quelle parti, sei appassionato di Hemingway e non sei mai andato a cena da Nico?”. Mi sono catapultato: una casa del dopoguerra con il giardino e dentro le foto e perfino un paio di appunti autografi di Hemingway. E poi ci portavo tutti a cena, come in pellegrinaggio. Oggi purtroppo hanno abbattuto tutto per far posto a un condominio».E sull’onda della letteratura, Bugaro vuole concludere il suo viaggio insieme a Gian Antonio Cibotto, scomparso il 12 agosto 2017. «Ha attraversato il Novecento da direttore della “Fiera Letteraria”, nella Roma della dolce vita con Fellini e Flaiano, da direttore del Teatro Goldoni a Venezia, conoscendo Cesare Pavese e William Faulkner. Poi si è ritirato nella sua Rovigo, dove lo andavo spesso a incontrare fino all’ora di cena che si degustava a Badia Polesine o Lendinara. Un’aura più che particolare: verso le 23, d’inverno, questi paesi vuoti con un po’ di nebbia, un’atmosfera rarefatta e ferma nel tempo, piccoli centri della Bassa pieni di storia in cui di notte senti quasi il respiro della Venezia che ha dominato i territori. In quel silenzio e dentro quella sorta di sospensione, nei portici di due paesi tutt’altro che noti, risuonavano i passi dello spirito che continua ad accompagnare il cammino della nostra regione nella storia».