Il Veneto e la politica: l'antica terra "bianca" è senza più interpreti e con poca fiducia

Qual è la qualità della nostra politica? E come vivono i veneti il loro rapporto con i partiti e con il voto?
Marco Almagisti, docente di scienza politica all’università di Padova, sono anni che lavora su cosa sta succedendo in tema di capitale sociale, rappresentanza, democrazia, territori e, naturalmente, partiti, voto (è uscito da poco il suo Una democrazia possibile. Politica e territorio nell’Italia contemporanea, Carocci editori) e sospende il giudizio, anche se le premesse radicate in un approccio storico fanno intuire alcune indicazioni puntuali.

Il Veneto e la politica: l'antica terra "bianca" è senza più interpreti e con poca fiducia

Qual è la qualità della nostra politica?
«Domanda impegnativa, anche perché siamo ancora all’interno di una lunga transizione, che riguarda in generale l’Italia, ma anche il Veneto».

Marco Almagisti, docente di scienza politica all’università di Padova, sono anni che lavora su cosa sta succedendo in tema di capitale sociale, rappresentanza, democrazia, territori e, naturalmente, partiti, voto (è uscito da poco il suo Una democrazia possibile. Politica e territorio nell’Italia contemporanea, Carocci editori) e sospende il giudizio, anche se le premesse radicate in un approccio storico fanno intuire alcune indicazioni puntuali.

«Se guardiamo allo stato d’animo degli italiani è indubbio che l’atteggiamento dominante nei confronti della politica è quello della sfiducia. Ora, non si tratta di un fenomeno del tutto nuovo, soprattutto in Veneto, regione che spesso ha coltivato una certa diffidenza verso le istituzioni e lo stato nazionale. Un sentimento che oggi si è acuito».

Forse perché sono saltati i punti di riferimento?
«Sì. Per decenni la nostra regione ha potuto contare su un partito, la Democrazia cristiana, che ha ricoperto un ruolo di interprete e garante degli interessi locali. La sua forza era radicata nell’egemonia esercitata dalla chiesa su gran parte della società locale. La Dc attingeva a piene mani al “capitale sociale” della chiesa e a questo dava rappresentanza politica. In Veneto nessun altro partito poteva contare su una base simile, di consenso ma anche di organizzazione territoriale, così capillare e forte. Naturalmente l’azione della chiesa non era di rivendicazione di potere, ma di perseguimento di obiettivi che potremmo definire sia inerenti alla sfera spirituale, culturale, all’ambito dei comportamenti etici, sia inerenti a questioni pratiche, quali la salvaguardia della società locale e il sostegno al suo sviluppo economico e sociale».

Insomma, in Veneto esisteva una vera e propria “subcultura territoriale”, che trovava espressione in un voto e in un partito?
«Fino agli anni Ottanta, il Veneto è stato identificato con la subcultura politica territoriale “bianca”, ossia con un sistema politico locale egemonizzato da una forza politica (la Dc, quale referente politico della chiesa) che garantiva rappresentanza e tutela alla società locale, si avvaleva di un forte senso di appartenenza e si trovava al centro di una rete di associazionismo diffusa».

Infatti, dagli anni Novanta tutto è cambiato…
«La fine dello Scudocrociato ha coinciso con l’implosione di tale modello; sulla scena sono arrivati altri protagonisti, dalla Lega a Berlusconi, al nuovo partito della sinistra riformista, fino ad arrivare al movimento Cinque stelle. Ma nessuno attualmente è in grado di essere quello che è stata la Dc, ossia l’interprete di una subcultura politica territoriale. E penso che sia molto difficile che un tale fenomeno si possa riprodurre in futuro».

Eppure, anche in ambito ecclesiale, si continua a produrre capitale sociale...
«Questo è vero. Le organizzazioni, le associazioni, il volontariato, le parrocchie in generale sono tuttora spazi molto fertili da questo punto di vista. L’aspetto che rimane problematico è come dare rappresentanza politica a questi mondi vitali».

Tali domande possono riguardare in generale tutta la società?
«Certamente. Giovanni Moro ha giustamente evidenziato che, mentre la partecipazione elettorale e nei partiti tende a diminuire, milioni di persone danno vita a esperienze di cittadinanza attiva, attraverso nuovi movimenti, gruppi ambientalisti e di consumo critico, comitati locali che sovente si muovono fuori dai canali consueti della rappresentanza. Si tratta di un mondo eterogeneo, che purtuttavia spesso svolge la funzione di “politicizzare le politiche pubbliche”, ossia di rimettere nei processi decisionali voci altrimenti escluse. Questi soggetti oggi trovano poche connessioni con i partiti».

Qualcuno dice che i partiti sono destinati alla morte…

«Difficilmente vedremo in futuro soggetti paragonabili ai partiti di massa (come la Dc o il Pci), che sapevano ancorarsi in maniera forte ai territori e ai vari giacimenti di capitale sociale; comunque resta il problema: a chi tocca rappresentare i conflitti che la società in ogni caso produce? Come si selezionano le persone che ci devono rappresentare nelle istituzioni? Per fare che cosa? È in merito a tali questioni che i partiti debbono dare oggi risposte».

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