L’oro blu tra sprechi e inquinamento

Il 22 marzo si celebra la Giornata mondiale dell’acqua, il World water day, ricorrenza istituita dalle Nazioni Unite nel 1992 e prevista all’interno delle direttive dell’Agenda 21, risultato della conferenza di Rio. Un invito al consumo consapevole perché l’acqua potabile è un bene prezioso, e sempre più scarso.  

L’oro blu tra sprechi e inquinamento

L’evento è nato per sensibilizzare e promuovere iniziative per la difesa e la condivisione dell’acqua
Ogni anno gli stati che siedono all’interno dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite sono invitati alla promozione dell’acqua sostenendo attività concrete nei loro rispettivi paesi.
Con il coordinamento del dipartimento degli affari sociali e economici dell’Onu, dal 2005 anche una serie di organizzazioni non governative usano questa giornata come momento per sensibilizzare la cittadinanza sulla questione dell’acqua, con un occhio di riguardo all’accesso all’acqua potabile e alla sostenibilità degli habitat acquatici.

Il tema di quest’anno è “Water and jobs, Acqua e lavoro”.
Nel 1997 è stato creato anche il World water council, il Consiglio mondiale sull’acqua, che ogni tre anni nella settimana della Giornata mondiale dell’acqua organizza anche il World water forum. Il più recente, il settimo, si è tenuto nel 2015 a Daegu-Gyeongbuk, nella Repubblica della Corea del Sud.
La Giornata mondiale dell’acqua è quindi un invito al consumo consapevole perché l’acqua potabile è un bene prezioso cui non hanno accesso quasi 750 milioni di persone al mondo, il 90 per cento delle quali vive in aree rurali. Un vero problema con cui fare i conti.

In Italia

Anche la situazione italiana non è eccellente: i dati Istat indicano che il prelievo nazionale di acqua potabile è di 9,5 miliardi di metri cubi, 380 litri per abitante al giorno.
Importante anche il problema della dispersione, calcolata come differenza percentuale tra i volumi immessi e quelli erogati, che nel 2014 ammonta al 37,4 per cento, un dato in aumento rispetto al 2008 quando era del 32,1.
L’acqua che esce dai rubinetti è tendenzialmente di buona qualità, ma l’Enea, l’Agenzia nazionale per l’energia, rileva alte concentrazioni di elementi potenzialmente nocivi in alcune aree del paese. Anche per questo il 28 per cento delle famiglie italiane non si fida del rubinetto, un dato comunque in calo visto che nel 2002 raggiungeva il 40.
Quale sia lo stato delle nostre acque lo fotografa l’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, nel suo rapporto sulla presenza di pesticidi nelle acque: sono 175 le sostanze trovate nelle acque superficiali e sotterranee italiane nel 2012. Nelle acque superficiali il 17,2 per cento dei punti di monitoraggio (253) presenta concentrazioni superiori ai limiti di qualità ambientali, mentre nelle acque sotterranee il limite è superato nel 6,3 per cento dei punti di monitoraggio (152).
Nei campioni sono spesso presenti miscele di sostanze diverse: ne sono state trovate fino a 36 contemporaneamente e questo cocktail di elementi peggiora la situazione perché aumenta in maniera esponenziale l’effetto dannoso delle sostanze per l’uomo e l’ecosistema.

Nel mondo

La crescita della popolazione e dell'economia, il cambiamento climatico, l'agricoltura, la produzione di energia e le politiche adottate a livello locale, regionale e internazionale sono gli elementi che determinano l'uso di questa risorsa fondamentale, e una gestione sostenibile che tenga conto di tutti questi fattori è necessaria perché l’acqua è una risorsa limitata.
Nel 2050 si stima che ci saranno due miliardi di abitanti in più sulla Terra e la domanda mondiale di acqua per uso domestico e industriale potrebbe più che raddoppiare.
Se non saranno ridotti i consumi le generazioni future rischiano insomma di restare a secco, mentre già oggi, nonostante gli Obiettivi di sviluppo del millennio delle Nazioni Unite abbiano consentito l'accesso all'acqua potabile al 7 per cento in più della popolazione mondiale, un miliardo di persone è ancora tagliato fuori e sono 35 milioni l'anno le morti per malattie legate all’acqua.

Una migliore gestione dell'acqua in agricoltura potrebbe però ridurre il gap alimentare mondiale entro il 2050, dicono gli scienziati dell'Istituto per la ricerca sugli impatti del clima di Potsdam in Germania, che per la prima volta hanno valutato le possibilità di produrre più cibo utilizzando la stessa quantità d’acqua.
Secondo gli studiosi, basterebbe irrigare meglio le coltivazioni per risolvere il 50 per cento di un immenso problema, perché ottimizzando l’uso dell’acqua piovana e adottando metodi di irrigazione efficienti la produzione potrebbe aumentare del 40 per cento, una cifra che cifra rappresenta la metà di quel che serve, secondo l’Onu, per sradicare la fame nel mondo entro la metà del secolo.
Le soluzioni per un uso più consapevole delle risorse idriche vanno dalla raccolta della pioggia in cisterne, praticata nella regione africana del Sahel ma meno nelle regioni semi-aride di Asia e Nord America, alla pacciamatura, cioè la copertura del terreno con plastica o scarti agricoli per mantenerlo umido, fino all'irrigazione a goccia. Per attuare queste misure però occorre un impegno da parte dei governi locali a sostegno degli agricoltori delle comunità più a rischio.

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