Triveneto: un'unica macroregione?

Sabato 12 marzo sono stati ben 200 i sindaci che si sono presentati a villa Pisani a Stra, al convegno organizzato dal comitato Macroregione Triveneto che ha per obiettivo la fusione di Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia, sia per abbattere i privilegi delle regioni a statuto speciale, sia perché la concorrenza a livello europeo si fa oggi sulla base di grandi macroaree, appartenenti anche a diverse nazioni.

Triveneto: un'unica macroregione?

Autonomia o macroregione? Sembra questo l’amletico dilemma che sta scaldando il dibattito pubblico veneto attorno al futuro della regione e soprattutto al superamento dei “privilegi” dei vicini trentini, bolzanini, friulani e giuliani.

Un Triveneto unito

Il nuovo protagonista di questo confronto è il comitato Macroregione Triveneta la cui anima è Ivone Cacciavillani, avvocato e già professore universitario, che sabato 12 marzo ha riunito 200 sindaci a villa Pisani a Stra, nel Veneziano, attorno a un progetto semplice nella teoria quanto arduo nella pratica.

«La fusione tra le regioni è già regolamentato in Costituzione, dall’articolo 132 – afferma – Proviamoci, e facciamolo mobilitando la gente attraverso i consigli comunali, lasciando fuori i politici politicanti, che della coerenza certo non hanno mai fatto la loro principale caratteristica».

L’obiettivo di Cacciavillani, dell’economista Ferruccio Bresolin, del sociologo Ulderico Bernardi e degli altri membri del comitato, insomma, è quello di

mettere insieme un terzo dei consigli comunali dell’area – e non importa che siano distribuiti in tutte e tre le attuali regioni – per un totale di 2,4 milioni di abitanti rappresentati. Se nell’arco di 90 giorni tutte queste amministrazioni approveranno la delibera tipo che chiede il referendum (a cui il comitato sta già lavorando), dopo il via libera della Cassazione, del consiglio dei ministri e del presidente della Repubblica, potrà essere indetta la consultazione popolare.

Sul Triveneto regione unica però, ammesso che vincesse il sì, dovrebbe poi pronunciarsi anche il Parlamento. «Se mi chiede qual è la probabilità che la cosa vada in porto – mette le mani avanti Cacciavillani – glielo dico subito: assai scarse. D’altra parte, il successo di questa iniziativa è sorprendente: basterebbe che i sindaci presenti a Stra si muovessero in tal senso e già avremmo praticamente i numeri per chiedere il referendum».

No, un Veneto autonomo

L’iniziativa del comitato pare aver accelerato anche all’organizzazione del referendum sull’autonomia di cui Luca Zaia e l’intera Liga veneta hanno fatto una bandiera per questa legislatura. Proprio giovedì 17, giorno in cui si ricorda l'unità nazionale, il presidente del Veneto ha dato avvio all'iter per ottenere maggiori autonomie dall'esecutivo nazionale sul modello del Trentino Alto Adige. Ora il governo ha 60 giorni per rispondere alla richiesta. L?obiettivo di Zaia è arrivare al referendum esattamente nello stesso giorno in cui gli italiani saranno chiamati alle urne per dire la loro sulla riforma costituzionale.  

Squilibri evidenti.

Fondere tre regioni su iniziativa di una sola di queste appare quanto meno proibitivo. Come in salita si presenta anche la trattativa parallela al referendum che la giunta regionale sta portando avanti con il ministro Alfano. La ragione?

Basterebbe che Veneto e Lombardia avessero le stesse “regole di ingaggio fiscale” del Trentino Alto Adige – scrive il giornalista Pierfrancesco De Robertis nel suo La casta a statuto speciale (Rubbettino, 2013) – per mandare all’aria il bilancio dello stato.

Il libro cita dati di Unioncamere Veneto i quali descrivono, ad esempio, come nel triennio 2006-2008 in Trentino le entrate tributarie siano state il 32 per cento del pil regionale e di questo solo il 6 per cento è finito nelle casse dello stato. Al contrario, in Veneto le tasse sono state il 29,6 per cento del pil, e ben il 22 per cento è stato trasferito a Roma. Tradotto, il Trentino ha speso 7.752 euro all’anno per ognuno dei suoi cittadini, il Veneto 2.476. Ma De Robertis parla anche di «economia assistita» per lo sforzo che le regioni a statuto speciale operano nei confronti delle proprie aziende. Tra queste, le imprese turistiche. Proprio all’avvocato Cacciavillani si sono rivolti gli albergatori bellunesi per una causa in sede europea: pare infatti che la provincia autonoma di Bolzano finanzi le molte aree wellness dei propri hotel, ciò che si configurerebbe come un vero e proprio aiuto di stato.

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