La "porta del sorriso" al Due Palazzi

«Solitamente le porte si aprono con una chiave. Le chiavi, però, ingombrano, si possono smarrire: meglio avere chi ti apre la porta, magari con un sorriso. Nessuno, come chi vive ramingo, conosce l'emozione di vedere una porta aprirsi: è la speranza che riprende vita. Ecco, allora, che la Porta-della-Misericordia da noi è anche la porta del sorriso». Con queste parole, pronunciate all'inizio della celebrazione eucaristica di avvio del giubileo nel carcere Due Palazzi, don Marco Pozza ha ribattezzato la Porta della misericordia. «Chi troverà il coraggio di varcare quella porta, oltre l'indulgenza plenaria, otterrà anche un biglietto omaggio per assistere allo spettacolo più bello che la storia abbia mai trasmesso: quello di un uomo e di una donna che, caduti o sbattuti a terra, tentano in tutti i modi di rialzarsi».

La "porta del sorriso" al Due Palazzi

La vita è una sinfonia di suoni: suoni gravi e solenni, pungenti e ribelli, acuti e imponenti. Suoni che somigliano a dei tocchi, a dei rintocchi, anche ad arpeggi e palpeggi. Suoni che destano curiosità come il tintinnio di un lamento, che impauriscono come le sirene della Polizia, che consolano come un passo amico dentro la paura. Ci sono suoni che rimangono suoni, altri diventano visioni, altri ancora odorano di vita. Pochi suoni, però, superano, per attrattiva, il bussare-alla-porta. Bussare è un po' come suonare, anche un annunciare e annunciarsi, è un accendersi della memoria e dell'intuizione: «È lui. Anzi no: forse è lei. Chi è che bussa?». Tante domanda dietro un bussare.

In queste settimane, passeggiando tra i corridoi di questo mondo popolato da uomini col passaporto di ferro-e-cemento, spesse volte mi sono chiesto: «Come mai proprio alla nostra parrocchia è toccato il privilegio di una Porta-Santa?». Già papa Francesco aveva reso tutte le porte delle celle delle porte-sante. Occorreva, davvero, che don Claudio calcasse ancora di più la mano, rendendo giubilare la nostra piccola chiesetta? Qualcuno me l'ha fatta pesare, facendomi capire che questi uomini non meritano così tanto, che questo luogo di educativo ha pochissimo. Forse hanno ragione, forse hanno torto: chi lo sa! A guardarla da fuori, la Grazia di Dio non è per niente facile da comprendere. Ti basta sfidarla una volta e perdere la partita per sentire che ti passa tutta la voglia di sfidarla anche solo una seconda volta: è pericolosissimo giocare al gatto e al topo quando sai di essere il topo. Così ho capito che la non-risposta è la risposta più bella a questa scelta ch'è toccata a questo luogo dove Bene e Male non sono un teorema astratto ma una presenza concreta. Dove la Misericordia, quella che non è mai a basso costo, è una manovra assai seria e ardita. Anche ardimentosa certi giorni, da capottarsi dalle vertigini.

Solitamente le porte si aprono con una chiave. Le chiavi, però, ingombrano, si possono smarrire: meglio avere chi ti apre la porta, magari con un sorriso. Nessuno, come chi vive ramingo, conosce l'emozione di vedere una porta aprirsi: è la speranza che riprende vita. Ecco, allora, che la Porta-della-Misericordia da noi è anche la porta del sorriso. Chi troverà il coraggio di varcare quella porta, oltre l'indulgenza plenaria, otterrà anche un biglietto omaggio per assistere allo spettacolo più bello che la storia abbia mai trasmesso: quello di un uomo e di una donna che, caduti o sbattuti a terra, tentano in tutti i modi di rialzarsi. È la porta della misericordia, è la porta del sorriso, è la porta dei poveri-cristi: è la nostra porta e scusateci se ce la siamo arredata fin quasi a sfidare il buon senso. Qui dentro la fede è un insulto al buon senso. Benvenuti a tutti, allora. Nel nome del Dio-Bambino che un giorno, parlando di se stesso in terza persona, amò raccontarsi come un Dio-che-bussa: «Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20). Un Dio che bussa: dopo il Dio-Bambino e il Dio-fornaio, è un Dio che sa di impasti e di incontri, di buono. Un Dio a disposizione di tutti, anche nonostante tutto o, forse, proprio per tutto quello che Gli abbiamo combinato. Per noi la porta è questo.

Quando si chiude una porta, solitamente se ne apre un'altra: spesso, però, guardiamo così a lungo la porta che si è chiusa che non vediamo l'altra che si è aperta per noi: forse per questo, nella logica del Cielo, diventa santa anche la porta dell'autobus che passa sotto casa. Perché non capiti che qualcuno corra il rischio di sentirsi escluso quando c'è in ballo la salvezza. Ecco perchè, come parroco di questa piccola chiesa di periferia, vorrei fare di questa messa e di questo gesto del quale don Claudio e la chiesa ci ha fatto dono inaspettatamente, un grazie liturgico. Grazie a chi? A tutti coloro (e credetemi che sono tantissimi) che, arrivati molto prima di noi da queste parti, hanno messo fondamenta solide alla speranza, organizzandone la crescita e la sussistenza: di certi loro sguardi, sento di essere profondamente debitore. In quegli occhi vi ho letto un annuncio natalizio anche in piena estate: qui a Padova l'uomo non è solo una scommessa che si può giocare, ma è addirittura una scommessa che qualche volta si riesce pure a vincere. Questa porta che s'apre, sia il grazie di ciò che siete prima ancora di ciò che vi riesce di fare. E per voi, cari fratelli, che state scontando una pena, faccio mio un pensiero preso a prestito da un uomo che, quando lo leggo, mi abbevera la speranza, Dietrich Bonhoeffer. A Natale del 1943, scrive una lettera dal carcere ai suoi genitori: «Sopratutto una cosa, carissima mamma e papà: non dovete pensare che io mi lasci abbattere per via di questo Natale in solitudine. Esso prenderà per sempre un suo posto particolare tra quei Natali, ciascuno con una sua fisionomia diversa, che ho festeggiato in Spagna, in America, in Inghilterra; negli anni che verranno voglio poter ripensare a questo giorno non con vergogna, ma con un certo orgoglio. E' l'unica cosa che nessuno può togliermi (Riconoscere Dio al centro della vita)».

Oggi inizia il Giubileo della Misericordia in questa terra di nessuno che Dio ha fortemente voluto fare propria. Per chi entrerà attraverso quella porta, per chi uscirà passando da quella porta, per tutti valga il suggerimento simpatico che ho trovato in un testo nel quale si parla di come salvarsi dalla fantasia dei ladri. Il consiglio è semplicissimo: la porta più protetta dai ladri è quella che si può lasciare aperta. Che sia un Giubileo di misericordia per tutti, sopratutto per chi, come tanti di noi, nella vita ha fallito: saperci amati nel momento in cui non lo meriteremmo di meno è il vestito-in-borghese che Dio indossa qui dentro quando non vuol farsi riconoscere. Non è questione di vergogna, è questione di delicatezza: la misericordia è una manovra serissima. È roba-da-Dio.

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