La sfida del futuro? Passare dal rito religioso al matrimonio sacramentale

Sposarsi oggi? «Un gesto di fiducia e di coraggio. Si tratta di accettare, di condividere la propria vita con un'altra persona, di mettersi insieme, in qualche modo di affidarsi; questo non è possibile se alla base non c’è un’opzione di fede in un’esperienza di vita comune e ciò esige appunto coraggio». Ne sono convinti, alla pastorale familiare della diocesi. E di fronte a sé vedono una nuova sfida: «Lavorare per far riscoprire la dimensione spirituale delle nozze, del mettere su una famiglia».

La sfida del futuro? Passare dal rito religioso al matrimonio sacramentale

Sposarsi oggi?
«Un gesto di fiducia e di coraggio. Si tratta di accettare di condividere la propria vita con un'altra persona, di mettersi insieme, in qualche modo di affidarsi; questo non è possibile se alla base non c’è un’opzione di fede in un’esperienza di vita comune e ciò esige appunto coraggio».

Don Cristiano Arduini, delegato vescovile per la pastorale familiare, guarda la realtà da un punto di vista privilegiato, costruito sul contatto quotidiano con tanti genitori e figli.
Forse, proprio perché impegnativa, è una scelta che sempre in meno si sentono di compiere? «Può darsi, anche se alla fine sono convinto che contrarre il matrimonio sia una fatto naturale, che esige stabilità, la possibilità di contare pienamente sull’altro. Potremmo dire che l’amore di coppia sogna; non c’è nessuno che sceglie un’altra persona con la prospettiva del fallimento. Il matrimonio è scritto nel dinamismo umano, perché due che si mettono insieme vogliono costruire in comunanza, non disperdere, indipendente dal fatto che si sposino in chiesa o in municipio».

Questo è il punto di partenza dell’intervento pastorale di accompagnamento delle coppie che hanno deciso di celebrare le nozze?
«Il nostro è un impegno che oggi è cambiato. Nel senso che fino a qualche tempo or sono curavamo molto gli aspetti relativi alle dinamiche di coppia, alle relazioni; oggi ci muoviamo essenzialmente nella direzione di risvegliare una fede sopita».

Termine complicato…
«Vuol dire semplicemente lavorare per far riscoprire la dimensione spirituale delle nozze, del mettere su una famiglia».

Concretamente?

«Distinguiamo molto nitidamente il matrimonio religioso da quello sacramentale. Il primo è costituito da una serie di componenti (la preparazione, la cerimonia, magari un prete amico…), in cui sostanzialmente Gesù è un ospite, di riguardo ma solamente tale. Il secondo, quello appunto sacramentale, riconosce in Cristo un membro della famiglia, un dono, una grazia, che passa anche attraverso il rapporto con il coniuge, la vita di coppia e la presenza dei figli. In questo senso marito e moglie si aprono alla speranza, che è riposta oltre che in loro anche nel Signore. Il nostro impegno allora è di accompagnamento in questo cammino di scoperta e vita della dimensione sacramentale del matrimonio».

Ma quanti riescono a fare questo salto?
«Pochi».

«Fino a qualche tempo fa – spiega Paolo Arcolin che, con la moglie Roberta, è responsabile dell’ufficio diocesano di pastorale della famiglia – stiamo parlando comunque di decenni, sposarsi era quasi una scelta naturale, che faceva parte di un percorso consolidato dal vivere comune, in qualche modo dalla tradizione. Gli studi, il lavoro, un o una partner e il passo verso il matrimonio. Normale; poi le cose sono cambiate».

In peggio?
«Non sarei così drastico: è mutato il modo in cui vedere la costruzione di una famiglia, anche se, almeno per quello che noi possiamo vedere, la voglia di famiglia è rimasta forte, uno dei primi valori, quasi un’aspirazione».

Frustrata dal contesto sociale?
«Più che altro oggetto di paura. Il matrimonio viene oggi più che mai ritenuto un passo importate, che incute timore, non soltanto per il possibile fallimento, quanto per tutto ciò che comporta».

Dal punto di vista del coinvolgimento personale?
«Non soltanto. Bisogna tenere presente che la maggior parte dei giovani vive in una situazione di precarietà, sul lavoro, sulla disponibilità di mezzi, sul futuro; allora di fronte a tutto questo si preferisce temporeggiare».

Che vuol dire non assumersi in pieno delle responsabilità?
«Anche questo è vero soltanto in parte; piuttosto è come se molti scegliessero la gradualità: un po’ alla volta, così il passo risulta meno impegnativo. Si comincia con la convivenza, poi magari si decide di sposarsi, spessa quando arrivano i figli».

Insomma, si tratta solo di avere pazienza…
«Paradossalmente l’atteggiamento di timore rispetto al matrimonio indica una presa di coscienza rispetto alla sua reale valenza. È vero: si ha paura, ma questo potrebbe anche essere un segnale inequivocabile che si ha netta la percezione che si tratti di una scelta esistenzialmente decisiva. Una maggiore coscienza, comunque».

Quindi la famiglia, almeno nel suo valore, tiene...
«Su questo nessun dubbio, anche se spesso i ragazzi non hanno molti strumenti per dare a questa fiducia nella coppia e nell’essere genitori strumenti di crescita, di consolidamento».

Questo è un punto centrale: chi sono i “promotori” di fiducia verso la famiglia?
«Prima di tutto il luogo, gli ambiti in cui si è cresciuti; se l’esperienza della propria famiglia è stata ed è positiva, è chiaro che la credibilità in tale modello di vita è quasi automatica».

Ma oggi ci sono tante famiglie sfaldate e figli che crescono in situazioni di disagio...
«Per quest’ultimi c’è qualche problema in più, ma a nessuno è preclusa l’opportunità di riaffermare la propria fiducia verso una vita di coppia stabile e consolidata. Per questo noi, nei nostri incontri di formazione per fidanzati, parliamo spesso di secondo annuncio».

Uno spazio di riabilitazione della famiglia?
«Più che altro un luogo di speranza, nella quale ribadire che è possibile costruire insieme un’esperienza positiva. Le sorprese in questa direzione certo non mancano, anche se non possiamo più essere noi a dettare tempi e modalità».

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