Vescovo Claudio, la prima "parrocchia" è quella del carcere

Domenica 25 ottobre, il vescovo Claudio ha celebrato la sua prima messa domenicale nella "parrocchia" della casa di reclusione Due Palazzi insieme a 130 persone, tra detenuti, volontari, il cappellano don Marco Pozza, i diaconi in servizio in carcere e il neo direttore Ottavio Casarano. Don Claudio ha anche amministrato la prima comunione e la cresima a un detenuto e ha annunciato che, i primi di novembre, ritornerà al Due Palazzi per incontrarne la quotidianità. Il racconto e le immagini della giornata.

Vescovo Claudio, la prima "parrocchia" è quella del carcere

Una domenica speciale, il 25 ottobre, per la parrocchia del carcere di Padova. Ma anche una domenica... come tutte le altre. Speciale perché a celebrare la messa di metà mattina c’era il vescovo Claudio, che ha scelto questa come prima parrocchia da incontrare subito dopo l’ingresso in diocesi. Speciale perché, proprio dalle sue mani, Francesco, 52enne pugliese, ha ricevuto la prima comunione e lo Spirito santo della confermazione. Tutto questo però nella normalità di una domenica nella parrocchia della casa di reclusione Due Palazzi. Normalità voluta dal cappellano, don Marco Pozza, e dalla sua équipe.

«Ci tenevamo – spiega il sacerdote – che il vescovo Claudio incontrasse la nostra parrocchia così com’è, quindi non abbiamo detto ai detenuti che ci sarebbe stato lui a celebrare». E così, quella scorsa in carcere, è stata una domenica che potremmo definire feriale. Con il sapore della normalità che, grazie a un incontro, quello con il Signore, ma anche con il vescovo Claudio, è diventata speciale.

Tutto è cominciato come al solito: ritrovo dell’équipe e dei volontari della parrocchia intorno alle 8, fuori dal carcere; le consuete formalità per entrare; poi le lodi recitate insieme e la celebrazione delle prime messe, in sezioni diverse della casa di reclusione. E poi, mentre i detenuti sono già tutti in auditorium, trasformato per l’occasione (come altre volte) in chiesa, arriva don Claudio. Non ci pensa due volte a “infilarsi” tra i parrocchiani e loro lo avvolgono tra parole, sorrisi, pacche sulle spalle...

A loro, prima di celebrare l’eucaristia – a cui hanno partecipano le tante persone impegnate nella parrocchia del carcere: catechiste, diaconi permanenti, seminaristi, religiose e religiosi, gruppi che animano il canto... oltre ad alcuni agenti di polizia penitenziaria, a chi è impegnato nelle diverse attività lavorative e di volontariato... fino al nuovo direttore, insediato da pochi giorni, Ottavio Casarano – confida di aver voluto partire da qui, per il suo incontro con la diocesi, «perché ho un debito verso chi ha sofferto nella vita. Tutti noi abbiamo avuto momenti difficili. A me ha distrutto un’esperienza, anche spirituale, vissuta nel 1990. Durante un camposcuola a cui partecipavo è morto un ragazzo di 12 anni per una malformazione al cuore. È stato un trauma enorme. Ho messo in discussione non tanto le mie capacità, ma il Padre Eterno. Ero prete, ma ho cancellato la sua presenza. Grazie al cielo, il mio vescovo – proprio in quel momento – mi ha chiesto di occuparmi della Caritas diocesana. A quel tempo era previsto che il direttore vivesse in un centro di prima accoglienza. Questo mi ha cambiato la vita. Ho capito che la differenza tra me e le persone del centro – alcolizzati, tossicodipendenti, senza fissa dimora... – erano solo le circostanze in cui ci eravamo trovati. Nel giro di un paio d’anni ho ritrovato un po’ di stima in me stesso e in Dio. Per questo sono debitore nei confronti di quelle persone e nei vostri».

Quella del carcere non è una vera e propria parrocchia, dal punto di vista giuridico, «ma – ha raccontato don Marco Pozza al vescovo Claudio – qui il cristianesimo non è mai una circostanza. Per alcuni dei detenuti è diventato motivo di vita. Qui ci sono uomini feriti, uomini che hanno ferito. Qui ci sono anche storie che raccontano di qualche errore della giustizia. Da qui il nostro pensiero va, come tutte le volte che celebriamo l’eucaristia, alle vittime di qualche loro gesto. Ma proprio qui, ogni mattina, entrano uomini e donne che con la loro presenza dicono che l’uomo è una scommessa che si può vincere. Qui abbiamo bisogno di gente feriale, che serve i poveri e non si serve di loro».

Ed è proprio un povero il “protagonista” del vangelo di domenica scorsa. Vangelo che ha reso ancor più speciale l’incontro del vescovo Claudio con la parrocchia del carcere, perché contiene il motto che ha scelto per il suo ministero episcopale: “Coraggio. Alzati, ti chiama!”. «Chissà cosa vi dice questo vangelo – si è chiesto don Claudio nell’omelia – Per me è importante e l’ho approfondito con tante persone. Mi ha convinto un passaggio: ti chiama. Il Signore ti chiama. Chiama un cieco (che, oltre a non vedere dagli occhi, non vedeva una prospettiva davanti a sé), seduto per terra (senza speranza di andare avanti), che elemosinava (cose, sguardi, sorrisi...). Cosa c’entrava lui con Gesù? Niente, secondo la gente che lo seguiva. E invece Gesù lo manda a chiamare. Stravolge la situazione. E così succede anche oggi: il Signore ti chiama, anche qui in prigione. A ciascuno di voi dico: ti chiama a essere libero. Di amare, tu con la tua storia. Per amare non c’è bisogno di essere vescovo. Possiamo farlo tutti, allo stesso modo».

Don Claudio ha poi sottolineato la risposta di Bartimeo, quando ha riacquistato la vista: «Finalmente libero, non sceglie di andarsene per la sua strada in cerca di qualcosa (casa, prestigio, onore...), ma segue Gesù. Che, ci dice il vangelo, sta andando a Gerusalemme per consegnare la sua vita per tutti. Bartimeo, seguendolo, ha dato alla sua libertà un senso. A ciascuno di voi dico, quindi: Gesù ti chiama a essere libero, ad amare. Gesù è la strada da seguire per essere libero».

Con questa “consegna di libertà” si è conclusa, nella parrocchia del carcere, una domenica tra speciale e normale. Normale, dicevamo, perché l’équipe del carcere desiderava che il vescovo toccasse con mano la comunità per quello che è. E questo “tocco feriale” continuerà nei primi giorni di novembre, quando don Claudio tornerà nella casa di reclusione di Padova per vivere un’intera giornata con i detenuti: nelle celle, nella cappella, nei luoghi di lavoro... Per rendere ancora più concreto, con la sua presenza di padre (così l’ha chiamato Agostino Zhang, alla fine della messa), che il Signore chiama ciascuno a essere libero di amare. Che domenica scorsa, in carcere, ci fosse il vescovo... in realtà qualcuno dei detenuti lo sapeva. «L’avevo detto a uno di loro – spiega don Marco Pozza – immaginandomi una reazione di sorpresa ed entusiasmo. E invece, mi ha risposto così: “Era ovvio che venisse. Se è un vescovo di papa Francesco, non poteva non partire da qui”».

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Fonte: Comunicato stampa