Non c’è euro senza Europa

Cosa è successo? Dove è andato smarrito quel sogno europeista che aveva accomunato i politici più lungimiranti e contagiato le opinioni pubbliche del continente? Quale che sia l’esito del referendum di questa domenica in Grecia, è questo il vero problema che è oggi di fronte all’intera Europa, e l’unica strada rimane quella di andare “oltre la moneta” per costruire una compiuta cittadinanza europea.

Non c’è euro senza Europa

«Se crolla l’euro, crolla l’Europa», annuncia e minaccia con enfasi la cancelliera tedesca Merkel
Difficile darle torto, visto il cataclisma che l’eventuale scomparsa della moneta unica porterebbe con sé, trascinando in una spirale incontrollabile l’intera economia globale.

Ma il monito del politico più forte e autorevole del continente appare anche come la presa d’atto del vicolo cieco in cui ci siamo cacciati, interrompendo a metà strada un cammino che pure – a cavallo tra la fine del Novecento e l’inizio di questo secolo – pareva avere tutte le carte in regola per portare il Vecchio continente a essere un modello per il mondo intero e persino a recuperare quella centralità strategica nello scenario globale che si era andata progressivamente appannando.

Cosa è successo? Dove è andato smarrito quel sogno europeista che aveva accomunato i politici più lungimiranti e contagiato le opinioni pubbliche del continente?
Di fatto, il vero momento di svolta l’Europa lo ha vissuto con i referendum che in Francia e nei Paesi Bassi bocciarono nel 2005 la costituzione europea che era stata firmata il 29 ottobre 2004 a Roma.
Smarrito quell’approdo – che pure aveva tanti limiti e contraddizioni, basti pensare al dibattito sulle “radici cristiane” dell’Europa – la politica ha perso la strada.
Ha abdicato al suo ruolo, lasciando il campo alle burocrazie e alle banche centrali. Così anche l’euro non è stato più uno strumento sulla strada di una compiuta unificazione ma è diventato il cuore stesso della costruzione europea, assieme ai parametri che regolano il debito pubblico e la spesa dei singoli paesi.

Che l’economia, il rigore nei conti, la pulizia dei bilanci siano criteri fondamentali è fuor di dubbio.  da soli, senza una cornice politica e senza un obiettivo più grande a cui tendere, è di tutta evidenza che non possono bastare.
L’Europa, prima che uno spazio economico, è stata per le generazioni uscite dalla guerra un progetto ideale, uno spazio di valori, cultura, storia da condividere.
La migliore riprova l’abbiamo avuta proprio nel momento in cui si è dato corpo al progetto dell’Unione Europea, di cui la moneta comune era solo uno degli aspetti. Se in quel frangente Germania e Francia consentirono all’Italia di aderire nonostante un debito pubblico esorbitante rispetto ai parametri indicati nel trattato di Maastricht, fu proprio perché alle loro classi dirigenti era chiaro che un’Europa unita che non includesse il nostro paese sarebbe stata una contraddizione in termini, oltre che un possibile concorrente sul mercato industriale con la sua moneta debole.
Allo stesso modo, in anni più recenti, l’allargamento a est è stato guidato dalla consapevolezza che cancellare la Cortina di ferro che aveva diviso per mezzo secolo popoli fratelli era un obiettivo storico, da realizzare anche a prescindere dalla solidità finanziaria di nazioni come la Bulgaria o la Romania. La stessa riunificazione della Germania, in fin dei conti, non sarebbe stata così agevole se fosse avvenuta fuori dalle garanzie offerte dall’Unione. E che dire dell’importanza cruciale di offrire ai Balcani un progetto di pacifica convivenza in uno spazio comune, capace di cancellare i traumi della guerra nella Ex Jugoslavia?

Ecco, è questa la visione ampia, “politica” nel senso più nobile del termine, che il nostro continente ha smarrito
Certo la crisi economica ci ha messo del suo, nel rinfocolare egoismi e nel dare fiato ai partiti populisti. Ma anche le politiche di austerità imposte a tanti paesi, così come la caotica gestione dei flussi migratori, ci appaiono figlie dello stesso problema di fondo: l’incapacità sempre più evidente di considerarci parte di un comune destino, prodotti di una identica cultura, inseriti in un medesimo orizzonte capace di trasformare in ricchezza le singole peculiarità invece di trasformarle in altrettante gabbie.

Quale che sia l’esito del referendum di questa domenica in Grecia, è questo il vero problema che è oggi di fronte all’intera Europa
E se non possiamo chiudere gli occhi di fronte alla necessità delle riforme che il governo greco ha fin qui irragionevolmente rifiutato, non possiamo nemmeno rassegnarci alle immagini delle piazze greche riempite dal “popolo del no”.

L’unica strada rimane quella di andare “oltre la moneta” per costruire una compiuta cittadinanza europea, come scrivevamo nell’agosto di due anni fa presentando il nuovo percorso della Formazione all’impegno sociale e politico della diocesi.
Invece siamo rimasti fermi, e oggi sarà pur vero che «se crolla l’euro, crolla l’Europa».
Ma senza Europa, quella che tanti di noi sognavano quando il 1° gennaio 2002 facevamo la coda ai bancomat per toccare le nuove banconote, anche l’euro non ha futuro.

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