Senza giornali siamo tutti più deboli

Quello che si chiude è stato un anno durissimo per la carta stampata. Dalle nostre edicole sono già spariti tutti i quotidiani politici e di partito. Ora rischiano di sparire anche i cosiddetti giornali cooperativi o non profit, compresa una buona fetta di editoria cattolica, e molti giornali locali, dopo che il governo ha decurtato con un tratto di penna i contributi all’editoria relativi al 2013 e non ha stanziato un euro per i prossimi anni. Un problema che investe i principi di base della democrazia stessa.

Senza giornali siamo tutti più deboli

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Quello che si chiude è stato un anno durissimo per la carta stampata, che il balbettio del governo sui contributi all’editoria sta rendendo ancora peggiore.
Degli oltre 50 milioni messi a bilancio per l’anno passato, il governo ne ha al momento messi a disposizione meno della metà. La Federazione dei settimanali cattolici (Fisc) nelle scorse settimane è stata ricevuta in parlamento: ha portato un pacco dei nostri giornali per mostrare quanta vitalità, idee, attenzione al territorio li contraddistingua. Altro che “giornali finti”, altro che “spreco di soldi pubblici”, come in tanti si ostinano a dire.
Naturalmente l’attuale situazione non è solo addebitabile al governo, anzi ai governi che si sono succeduti in questi anni. C’è la crisi che ha ridotto gli investimenti pubblicitari, e c’è un mondo che sta cambiando.

Il dato è particolarmente evidente tra le giovani generazioni, ma riguarda un po’ tutti. In 25 anni in Italia si sono dimezzate le copie di quotidiani vendute. Nel 1990 erano quasi sette milioni, oggi sono meno di quattro. Quasi il cinquanta per cento degli italiani fanno a meno della carta, affidandosi solo alla televisione o a internet per sapere cosa succede nel mondo e attorno a casa loro.
È un problema enorme per l’industria editoriale, ma non solo.
Quel rapporto speciale di fiducia che per decenni ha legato le persone al “loro” giornale, garantiva anche una crescita di consapevolezza, una maturazione civile e politica, una capacità di analisi che un breve frammento di racconto televisivo o le migliaia di notizie sullo stesso tema recuperabili da internet – e a quale dare fiducia, se l’una dice il contrario dell’altra? – non ci potranno mai assicurare.
Dalla visione globale si sta passando al frammento, dalla frequentazione quotidiana alla ricerca episodica, dall’attenzione prolungata alla consultazione occasionale. Ci stiamo impoverendo di cultura, conoscenza, preparazione, insomma di quel bagaglio fondamentale per costruire – prima di una carriera lavorativa – una personalità matura. E, cosa ancor più triste, nemmeno più ci rendiamo conto di quanto sia grave.

Ora, la questione è lampante: quello che abbiamo di fronte è un problema economico-industriale o l’informazione è qualcosa che ha a che fare con i principi di base della democrazia stessa?
Dobbiamo gestirlo come si è fatto per settori in declino, magari garantendo cassa integrazione e scivoli pensionistici ai lavoratori, o dobbiamo affrontarlo con uno spirito del tutto diverso?
A noi pare non vi possano essere dubbi: un’Italia senza giornali politici, senza periodici locali, magari un domani senza i nostri settimanali diocesani sarebbe un’Italia più povera, più debole e meno democratica.
Per quanto alte siano le perdite, teniamo a mente che vi sarà sempre un grande imprenditore disposto a sopportarle pur di controllare la stampa e per questa via influenzare l’opinione pubblica. Non a caso, già oggi, tutti i grandi gruppi editoriali italiani sono di proprietà di dinastie industriali.

I contributi all’editoria servono anche a garantire quel tanto di pluralismo che ancora rimane e cancellarli, solo per risparmiare qualche decina di milioni di euro l’anno, è un gesto di puro masochismo da parte di una politica che dovrebbe invece investire sul senso civico e sulla partecipazione “informata” dei cittadini alla vita della nostra nazione, specie in un momento di così forte crisi.
Dal governo temiamo che non riceveremo risposte concrete. Ma dai nostri lettori, e dalla grande comunità diocesana di cui sono parte, speriamo di ricevere anche per il prossimo anno il sostegno di cui abbiamo bisogno, e se possibile anche un aiuto a incontrare nuovi amici che credano nell’informazione come essenziale strumento di crescita culturale e democratica.
Lo hanno scritto i vescovi del Triveneto nel messaggio che abbiamo pubblicato domenica 30 novembre: «Nei settimanali diocesani ravvisiamo la presenza delle idee, dei fatti e delle testimonianze che incorporano la logica del buon samaritano. Cioè le parole che danno ragione della speranza che è in noi e che si fonda sulla Buona Novella di Gesù Cristo».
Ecco, perché queste idee, questi fatti, queste testimonianze continuino ad avere voce, possiamo forse fare a meno del sostegno del governo.
Ma abbiamo bisogno di sapere che voi, lettori e amici della Difesa, sarete ancora accanto a noi.

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