La vita va difesa. Anche a costo di perderla. Coppie che non vogliono figli e mamme che muoiono per loro

Scampoli di conversazione in una cittadina veneta, tardo pomeriggio di primavera, sul marciapiede. Vicina di casa, mamma di (pre)adolescenti, torna dal passeggio con il cane: «Guarda, i figli sono la prima cosa, non ho alcun dubbio, li rifarei di certo, ma che fatica e che rottura... In fondo non posso non capire chi decide di non averne. È davvero una grande sfacchinata».

La vita va difesa. Anche a costo di perderla. Coppie che non vogliono figli e mamme che muoiono per loro

Parole oggi largamente comprese e condivise a livello sociale. Parole nettissime anche nella mente di chi scrive. La fatica, pensiamo, sta soprattutto nelle dinamiche del “fare spazio” e del “porsi (un po’) in secondo piano”: è complesso, specie in un contesto che offre milioni di stimoli e di opportunità per uscire, divertirsi, crescere, conoscere, svagarsi… eppure, mi pare, è il pane quotidiano di chi è genitore. E infatti il reportage di Repubblica, che ha fatto parecchio discutere in questi giorni, nel quale si raccontano le donne o coppie che non desiderano avere figli riporta virgolettati del tipo: «Andrea e io viaggiamo molto, prendiamo la moto e via senza orari, non volevo prendermi cura di una terza persona, avere la responsabilità di educarla. Egoismo? Perché? Non facciamo male a nessuno. E di fronte alle vite affannate delle mie amiche, con figli adolescenti, penso di essere fortunata». Ma non è tutto qui, c’è anche: «Abbiamo vissuto entrambi un’infanzia complicata, genitori separati, famiglie divise. Avere un bambino ci è sembrato un compito troppo grande, difficile». Il tema è davvero delicatissimo. Siamo davanti a posizioni da accogliere e a giudizi da sospendere. Nessuno ha il diritto di intrufolarsi nella sfera più intima di qualcun altro, e l’idea della riproduzione si colloca esattamente lì. Anche con queste premesse le considerazioni sono tuttavia numerose. La prima riguarda la responsabilità: sì, va riconosciuta la maturità di chi sa astenersi da un’esperienza che non sente sua, di cui non si sente all’altezza o di cui semplicemente non sente il desiderio. Una postura morale molto differente rispetto a quella di chi parla di diritto a un figlio: complesso immaginare con un essere umano sia funzionale anzitutto al benessere di un altro… La seconda riflessione riguarda la consapevolezza; la speranza, in altri termini, che la scelta sia lucida e controllata e non sia, viceversa, subìta (per la volontà di un altro/a, per ragioni fisiologiche o cliniche, per l’attitudine a rimandare una decisione…). Grande vicinanza va invece a chi desidera diventare genitore ma non può o non riesce. Il terzo pensiero va alla trasformazione antropologica in atto. Secondo scampolo di conversazione in un paesino della Pedemontana Veneta, un venerdì culturale, un maestro in pensione: «È impressionante la confusione che regna in questa società, complesso individuare due istituzioni che portino avanti valori condivisi, la voce della Chiesa o della scuola sono due tra le tante. Sembra che l’educazione sia compito dei soli genitori, ma le famiglie sono molto fragili». Proprio così, la verità è che non ci rendiamo conto di come stia cambiando nel profondo la struttura stessa della psiche e dell’animo umano.«I giovani non sentono la procreazione come un imperativo biologico e sociale, vogliono pensare al proprio destino liberamente, se il progetto di un figlio si integra con le proprie scelte di vita, se non ostacola i progetti, allora scelgono la maternità e la paternità. Altrimenti no grazie, senza rimpianti», spiega il demografo Alessandro Rosina. Si tratta di fatti preoccupanti che hanno a che fare con la crisi demografica e con i soli 379 mila bambini nati in Italia nel 2023, ma vanno accolti e analizzati, sapendo che aiuti economici o campagne mediatiche a favore delle nascite non basteranno a cambiare la situazione. Il tema è molto più profondo, culturale e, appunto, antropologico. Di fronte a tutto questo, commuove profondamente la storia di Azzurra Carnelos, mamma di Oderzo che ha ritardato le cure contro il cancro per non compromettere la vita del figlio che portava in grembo e in questi giorni è morta, lasciando il marito e il suo Antonio di otto mesi. «La vita va difesa», diceva Azzurra. Anche al costo di perderla.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)