Catalogna, gli indipendentisti vincono. A metà

Domenica scorsa il 72 per cento dei catalani si sono recati alle urne per rinnovare il governo della loro regione. È stato il record assoluto di affluenza, anche perché il presidente uscente Mas aveva trasformato questa tornata elettorale in una sorta di referendum per l'indipendenza. Ma i partiti che spingono per rompere con Madrid non hanno conquistato la maggioranza assoluta dei consensi e ora Mas è incriminato per il referendum di un anno fa. Infatti, secondo Riccardo Pennisi di Aspen institute, il vero obiettivo catalano è la revisione del patto fiscale con la capitale: «L'indipendenza serve solo a distrarre l'attenzione degli elettori dai gravi problemi di bilancio della regione».

Catalogna, gli indipendentisti vincono. A metà

Il colpo di scena arriva due giorni dopo le elezioni regionali che il presidente Artur Mas aveva trasformato in un referendum per l’indipendenza della Catalogna. Il prossimo 15 ottobre, infatti, lo stesso Mas dovrà comparire davanti al tribunale regionale per quello che gli indipendentisti hanno già definito un processo politico. Assieme alla sua ex vice Joana Ortega e al consigliere regionale Irene Rigau, dovrà rispondere di «disobbedienza civile, usurpazione di funzioni e cattivo uso di fondi pubblici». Mas si sarebbe macchiato di questi crimini il 9 novembre scorso, quando, nonostante il parere contrario della corte costituzionale iberica, ha sottoposto alla sua gente il referendum per l’indipendenza catalana, passato da vincolante per il governo di Madrid a consultivo. Alle urne quasi un anno fa si recarono 2,3 milioni di elettori e 1,9 si espresse per l’uscita dalla Spagna.

Per Artur Mas un grattacapo non da poco, dal momento che il processo potrebbe costargli l’interdizione dai pubblici uffici e addirittura la reclusione. Una bomba a orologeria, innescata dalla corte in pieno clima post elettorale, tutt’altro che disteso e rilassato. Il trionfo indipendentista auspicato domenica scorsa non c’è stato. Pur avendo ottenuto la maggioranza dei seggi nel parlamento di Barcellona, 72 su 135, le forze che mirano alla nascita del nuovo stato catalano non hanno raggiunto la maggioranza assoluta dei consensi, ma “solo” il 47 per cento.

Il processo indipendentista, che il presidente uscente Mas aveva promesso di portare a compimento nei prossimi 18 mesi, ha perso così il suo principale presupposto.

Senza contare che lo stesso fronte dei ribelli nei confronti di Madrid è tutt’altro che compatto. Ci sono da un lato la coalizione di cui è a capo lo stesso Mas, Junts pel Sì, composta dal suo Convergencia, forza moderata di centrodestra, e da Erc, partito di estrema sinistra; dall’altro ci sono i radicali di Cup, che hanno già fatto sapere di non avere nessuna intenzione di appoggiare un nuovo governo regionale guidato da Mas, e di preferirgli di gran lunga il leader di Erc Oriol Junqueras. Il braccio di ferro dovrà concludersi entro un mese, altrimenti i catalani dovranno tornare al voto e il sogno indipendentista, appoggiato da molti volti noti e campioni del calcio, potrebbe andare definitivamente in frantumi.

Ma le altre forze politiche, in vista delle elezioni generali del prossimo dicembre, non stanno meglio. Il Partito popolare del premier Rajoy e i socialisti sono ai minimi storici con l’8,5 e il 12,7 per cento dei voti. Il vero sconfitto tuttavia potrebbe essere quel Podemos dell’astro nascente Pedro Iglesias, che ha promesso un’autonomia spinta senza avere la possibilità di offrirla davvero, fermo al 9 per cento. La vera alternativa agli indipendentisti rimane Ciudadanos, con un inatteso 18 per cento.

«Se Madrid aprisse al dialogo gli argomenrti degli indipendentisti svanirebbero»

 L'analisi di Riccardo Pennisi dell'Aspen insitute, firma di Limes 

«Il risultato indipendentista alle elezioni regionali di domenica scorsa è stato un mezzo insuccesso». Riccardo Pennisi, analista politico dell’Aspen istitute e firma di Limes, la vede così. E rincara. «La popolazione catalana manifesta segnali di stanchezza rispetto alla politica antispagnola di Mas e dei suoi. Se solo Madrid mettesse da parte l’intransigenza e aprisse al dialogo, le istanze dei catalanisti si scioglierebbero come neve al sole».

Una posizione controcorrente...
«La Catalogna gode già di una spiccata autonomia politica. Il governo gestisce media importanti, organizza ogni anno una festa a cui partecipano milioni di cittadini e molti vip. Con 7,5 milioni di abitanti (la Lombardia ne ha 9 milioni) offre lavoro a 200 mila impiegati pubblici. Di fronte a questo il 39 per cento dei consensi per il partito di riferimento, più l’8 della forza di estrema sinistra alleata, non rappresenta un grande risultato».

Dunque non esiste una maggioranza indipendentista?
«La società catalana è molto articolata: oggi hanno votato gli indipendentisti che però alle amministrative di maggio erano usciti pesantemente sconfitti. Il vero significato di questa tornata elettorale è un messaggio chiaro rivolto a Madrid: la Catalogna vuole rivedere il patto che la lega alla Spagna. E d’altra parte da quando le due corone di Castiglia e Aragona-Catalogna si sono unite i patti sono sempre stati aggiornabili».

Ma da dove nasce allora questa spinta indipendentista?
«La crisi economica ha colpito duramente la Spagna. Nel 2008 il debito pubblico è schizzato in su e la disoccupazione è arrivata al 25 per cento. La Catalogna, che si sente un’eccellenza, ha iniziato a chiedere un nuovo patto fiscale e più autonomia. La risposta di Madrid, a brutto muso, ha fomentato lo spirito autonomista che i partiti al potere hanno fomentato per ragioni di consenso. L’indipendenza, di cui dieci anni fa nessuno parlava, è diventata la massima assicurazione per loro di rimanere al potere e allo stesso tempo ha permesso di distrarre l’attenzione degli elettori dai gravi problemi di bilancio della regione che hanno portato a tagli in sanità e istruzione».

L’incriminazione di Mas ha generato la solidarietà degli indipendentisti veneti.
«L’intransigenza di Madrid sta facendo di Mas quel martire per l’indipendenza che a leggere la sua storia politica non è affatto. Non era scontato che la questione del referendum di novembre 2014 finisse in tribunale. Così gli indipendentisti di tutta Europa si schierano. Ma la relazione tra Spagna e Catalogna non ha nulla a che vedere con quella tra Veneto e Italia. La Catalogna è già indipendente, ha una propria lingua e al limite è più assimilabile alla Lombardia che ha in Milano e nell’hinterland la sua Barcellona».

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Parole chiave: catalogna (3), elezioni (169), analisi (5)