Cina: le ragazze “mai nate” ma, per fortuna, cresciute ugualmente

In Cina, a causa della politica del figlio unico, si stima la perdita di 60 milioni di bambine. Ora però uno studio rivela che circa 25 milioni di ragazze non risulterebbero all'anagrafe perché nessuno le ha dichiarate al momento della nascita. Salvandolo loro la vita, e forse aiutando il futuro del paese.

Cina: le ragazze “mai nate” ma, per fortuna, cresciute ugualmente

Venticinque milioni di ragazze “mai nate” ma cresciute.
Succede in Cina, il paese più popoloso della terra, dove a causa della controversa politica del figlio unico, si stima ufficialmente la perdita di 60 milioni di bambine. Ora però uno studio rivela che circa 25 milioni di ragazze non risulterebbero all'anagrafe perché nessuno le ha dichiarate al momento della nascita.

«La maggior parte delle persone ha dato finora spiegazioni di tipo demografico, parlando di aborti o infanticidi – ha spiegato alla stampa John Kennedy, coautore dello studio e docente di scienze politiche alla Kansas university – Quando in Cina è entrata in vigore la politica del figlio unico, nel 1979, il governo ha previsto che i funzionari addetti alla pianificazione familiare locale fossero estremamente rigidi nel farla rispettare, ma questo risultava molto più difficile nei villaggi dove i funzionari erano anche membri della comunità».

Così, in pratica, si concedeva alle famiglie di avere figli in più in cambio della stabilità sociale nelle comunità.
A metà degli anni Ottanta, il governo cinese ha poi ammorbidito la politica del figlio unico – che rispondeva alla necessità di controllare l’aumento della popolazione – dando la possibilità agli abitanti nelle zone rurali di avere un secondo figlio se il primo nato era una femmina.
Kennedy, insieme a Shi Yaojiang, professore di economia presso la Shaanxi normal university, coautore dello studio, ha scoperto però come le regole sono state aggirate: un contadino padre di tre figli – per esempio – ha raccontato che la sua prima figlia era stata registrata, ma «quando è nata la seconda, ancora una volta femmina, ha omesso di farlo, mentre il terzo bambino, un maschio, è stato registrato legalmente, come fosse il secondo».

I due ricercatori hanno analizzato tutti i dati della popolazione cinese in un arco di tempo di 25 anni e hanno scoperto che le famiglie non registravano le bambine subito dopo la nascita o nei mesi successivi, ma tendevano a farlo tra i 10 e i 20 anni di vita delle figlie. Quando i ricercatori hanno confrontato il numero di bambini nati e registrati nel 1990 con quello della popolazione del 2010, hanno scoperto quattro milioni di persone in più e, di queste, le donne rispetto agli uomini erano circa un milione in più.

Tre anni fa, il 28 dicembre 2013, il comitato centrale del Partito comunista cinese ha poi approvato e avviato un nuovo allentamento della politica demografica: le coppie possono avere due figli se uno dei due genitori o entrambi i genitori sono figli unici.

I problemi legati alla politica demografica cinese
Secondo molti attivisti contrari alla politica del figlio unico, questa misura – congiuntamente alla preferenza culturale per i figli maschi – ha comunque portato a conseguenze gravi e di vasta portata, destinate a ripercuotersi per un lungo lasso di tempo. L'aumento significativo dei casi di aborto “forzato”, di infanticidio femminile e di occultamento delle nascite di figlie femmine, ha finito per creare un rapporto distorto tra i sessi per cui vi sono oggi in Cina 117 ragazzi ogni 100 ragazze.
Ricercatori e forze dell’ordine ritengono che lo squilibrio demografico nel paese abbia anche contribuito all’aumento di fenomeni come il traffico sessuale e la prostituzione.
Quel che è certo è che alla fine di questo decennio ci saranno circa 24 milioni di uomini single che non potranno trovare una moglie, mentre il paese soffre di un progressivo invecchiamento della popolazione, al punto che si stima che dal 2030 più di un quarto della popolazione cinese avrà oltre 60 anni, con importanti conseguenze sia per quanto riguarda la forza lavoro, sia le spese sanitarie.

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