L'Austria vota Verde. Aperte le danze delle elezioni in Europa

Nel 2017, una dopo l'altra, le grandi nazioni continentali cambieranno presidenti e maggioranze di governo. Il 2016, intanto, si conclude con il voto in Austria, dove l'estrema destra nazionalista è stata stoppata dal Verde Alexander Van der Bellen. «Il vero argine al populismo avverrà solo con due operazioni. Anzitutto le istituzioni politiche devono attrezzarsi per fornire risposte reali ai problemi del quotidiano, ma anche la società civile deve fare la sua parte: il populismo si frena con una complessiva crescita culturale e morale del paese», osserva Gianni Borsa, notista di politica europea del Sir, l'agenzia di stampa dei settimanali cattolici. 

L'Austria vota Verde. Aperte le danze delle elezioni in Europa

Nel 2017, una dopo l'altra, le grandi nazioni continentali cambieranno presidenti e maggioranze di governo.
Aprirà le danze l'Olanda a marzo, poi in primavera dovrebbero concretizzarsi i primi passaggi della Brexit, a seguire le elezioni in Francia e in Germania nella seconda parte dell'anno, ipotesi palusibile anche per l'Italia, dopo le dimissioni di Renzi. 

Il 2016, invece, si conclude con il voto in Austria, dove l'estrema destra nazionalista è stata stoppata.
Il Verde Alexander Van der Bellen è infatti il nuovo presidente austriaco, dopo l'annullamento del voto dello scorso maggio, e dopo aver sconfitto l'ultranazionalista Norbert Hofer, fermatosi al 46,7 per cento. Ed è proprio il peso dei partiti estremisti e populisti a destare la maggiore preoccupazione nei paesi che andranno al voto.

«Il vero argine al populismo avverrà solo con due operazioni, una legata al quadro politico, l'altra rivolta ai cittadini e all'opinione pubblica. Anzitutto le istituzioni politiche devono attrezzarsi per fornire risposte reali ai problemi del quotidiano: che vanno dal lavoro alla salute, dalla qualità della vita alla protezione dei consumatori, dalla sicurezza all'istruzione. Ma anche la società civile deve fare la sua parte: il populismo si frena con una complessiva crescita culturale e morale del paese, la quale passa attraverso le famiglie, la scuola, le università, le agenzie educative, il ruolo essenziale delle chiese e comunità religiose», osserva Gianni Borsa, notista di politica europea del Sir, l'agenzia di stampa dei settimanali cattolici. 

Ma cosa si percepisce nel "profondo" del clima politico in Europa? 
«Difficile delineare un "clima" europeo. Ogni situazione nazionale è un caso a sé. Si può semmai rilevare che abbiamo alcune sfide comuni, le quali richiederebbero un rafforzamento dell'Unione Europea per frenare populismi e nazionalismi. Ma, più concretamente, direi che le sfide comuni riguardano economia e lavoro, giustizia sociale, welfare, risposte alla sfida migratoria e politica energetica comune».

Si può tentare un paragone storico con altre stagioni politiche del Vecchio continente?
«Non credo ai paragoni tra epoche diverse. Ogni tempo ha donne e uomini chiamati ad abitare le frontiere presenti e a progettare un futuro. Semmai dalla storia, che è "maestra", abbiamo da comprendere errori da non commettere di nuovo e trarre fonti d'ispirazione legate al nostro passato, alla nostra identità».

Il perno politico ed economico dell'Unione è senza dubbio la Germania. Cosa pensa della ricandidatura di Angela Merkel?
«In questo decennio di crisi Merkel non solo ha saputo raccogliere per tre volte la fiducia del suo popolo – mentre tutti gli altri leader cadevano come birilli, travolti dalla crisi – ma ha anche impresso un'accelerazione economica e sociale al più grande paese dell'Ue. Certo la sua azione politica non è esente da errori, ma si tratta di un vero leader credibile, una figura politica sobria e intelligente, una guida stabile e prudente. Tante volte noi facciamo un po' il verso ai tedeschi, ma sono convinto che avremmo bisogno di figure di questo tipo per l'Italia e per l'Europa». 

Quanto pesa la questione dei profughi nei diversi paesi europei che andranno al voto? Dove si manifestano le maggiori tendenze alla polarizzazione?
«La questione dei profughi non ha confini: tocca, direttamente o indirettamente, tutti. Sollecita reazioni spesso al limite della xenofobia, mentre fa crescere i timori, comprensibilissimi, tra la gente comune. Se gli stati dell'Ue avessero dato negli scorsi anni alle istituzioni di Bruxelles poteri e mezzi necessari per provvedervi, probabilmente oggi saremmo in una situazione diversa. Invece hanno prevalso le miopie e gli egoismi nazionali, le chiusure, i muri. Il problema-migrazioni è sfuggito di mano ai governanti. Purtroppo stanno prevalendo le linee alla Orban, il leader nazionalista ungherese. E questa mentalità di chiusura, che peraltro non risolve niente, ha attecchito nella mente e nel cuore delle persone, pervade i media (tra i massimi responsabili del razzismo strisciante) e viene utilizzata da politici chiacchieroni e spesso inconcludenti per guadagnare voti».

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