Siria. L’Ue proroga le sanzioni. «Così affama il popolo»

L’arcivescovo Boutros Marayati (Aleppo): «In questi cinque anni le sanzioni hanno contribuito a distruggere la società siriana condannandola alla fame, alle epidemie, alla miseria, favorendo l’attivismo delle forze combattenti integraliste e terroriste». Fino a 1° giugno 2017 ci sarà embargo sul petrolio, restrizioni sugli investimenti, beni della banca centrale siriana congelati e stop alle esportazioni. Divieto di viaggio per 200 persone.

Siria. L’Ue proroga le sanzioni. «Così affama il popolo»

Ha sollevato una pioggia di critiche la decisione del consiglio dell’Unione europea di prorogare per un altro anno le sanzioni economiche nei confronti della Siria.

«Una politica incomprensibile, che ci sconcerta – il commento dell’arcivescovo Boutros Marayati, alla guida dell’arcieparchia armena cattolica di Aleppo – Perché

le sanzioni fanno male al popolo, ai civili, alla povera gente. Non certo al governo e nemmeno ai gruppi armati, che come si vede sono ben riforniti di tutte le risorse, e usano armi sempre più sofisticate».

La proroga delle sanzioni è valida fino al primo giugno 2017.

«La decisione – spiega una nota del consiglio dell’Unione europea – è conforme alle conclusioni del consiglio del dicembre 2014, in cui si affermava che l’Ue avrebbe proseguito l’imposizione e l’applicazione di sanzioni nei confronti del regime e dei suoi sostenitori finché la repressione fosse continuata».

«Le sanzioni in vigore al momento – precisa ancora la nota – includono segnatamente un embargo sul petrolio, restrizioni su alcuni investimenti, un congelamento dei beni della banca centrale siriana nell’Ue, restrizioni all’esportazione di attrezzature e tecnologie che potrebbero essere usate a fini di repressione interna nonché di attrezzature e tecnologie per il monitoraggio o l’intercettazione delle comunicazioni telefoniche oppue online. Inoltre, più di 200 persone e 70 entità sono oggetto di un divieto di viaggio e di un congelamento dei beni a causa della repressione violenta contro la popolazione civile in Siria».

«In questi cinque anni le sanzioni alla Siria – si legge nell’appello sottoscritto da numerose autorità religiose mediorientali per scongiurarne la proroga – hanno contribuito a distruggere la società siriana condannandola alla fame, alle epidemie, alla miseria, favorendo l’attivismo delle milizie combattenti integraliste e terroriste che oggi colpiscono anche in Europa.

L’embargo rende anche impossibile per i siriani stabilitisi all’estero già prima della guerra, di spedire denaro ai loro parenti o familiari rimasti in patria. Anche le organizzazioni non governative impegnate in programmi di assistenza sono impossibilitate a spedire denaro ai loro operatori in Siria.

Aziende, centrali elettriche, acquedotti, reparti ospedalieri sono costretti a chiudere per l’impossibilità di procurarsi un qualche pezzo di ricambio o benzina».

Le prime sanzioni furono decise all’inizio della guerra civile, nel 2011. Da allora si contano 250 mila morti, 6 milioni di sfollati e 4 milioni i profughi.

«Se la guerra continua – ripete l’arcivescovo Marayati – vuol dire che qualcuno non vuole che la guerra finisca.

In Europa cresce l’ossessione per i profughi e si sperimentano nuove politiche di respingimento. Ma si dimentica che nessuno andrebbe via dalla Siria, se non ci fosse la guerra e anche le sanzioni che contribuiscono a affamare la gente.

La Siria è sempre stata un paese che i profughi li accoglieva. Se le armi tacessero, e se le sanzioni fossero tolte, nessuno di qui penserebbe a scappare per andare a vivere sotto la neve. Ma è evidente che qualcuno non vuole che questa guerra finisca. Chiediamo la preghiera di tutti, affinché arrivi la pace, come una grazia del Signore». Sul piano militare, almeno, i miliziani dello Stato islamico sarebbero in difficoltà per le offensive lanciati dai peshmerga curdi, a nord, dall’esercito iracheno e dal regime di Assad sostenuto dalla Russia. La tregua tra il regime e i ribelli, però, verrebbe continuamente violata. Al punto che non è stato possibile proseguire con i colloqui di pace seguiti dall’Onu.

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