Competizione, logica economica, precarietà: i "mali" del terzo settore

Al Salone dell'Editoria Sociale si è discusso di “Il terzo settore alla deriva?” insieme a Giovanni Moro e Giulio Marcon, autori di due libri sul tema, alla luce della Riforma in corso di approvazione e di Mafia capitale, che ha gettato un'ombra negativa su tutto il non profit.

Competizione, logica economica, precarietà: i "mali" del terzo settore

“Abbiamo messo il punto di domanda nel titolo, è un incontro ottimista”.
Scherza Stefano Trasatti, nell'introdurre il tema dell'incontro al Salone dell'Editoria Sociale, “Il terzo settore alla deriva?”, che ha messo a confronto Giulio Marcon, autore di “Lavorare nel sociale. Una professione da ripensare” (Edizioni dell'Asino, 2015) e Giovanni Moro, che ha scritto “Contro il non profit” (Laterza, 2014).
Si tratta di due testi molto diversi: il primo è un manuale che, attraverso una scelta oculata di contributi, mette in luce i rischi, le opportunità e fotografa la situazione in una fase attraversata da due avvenimenti, la riforma del terzo settore e la vicenda di Mafia capitale. Il secondo ragiona più sulla struttura che sugli operatori, analizzando i dati, la normativa, ma anche le convenzioni e la retorica per cui “si fa di tutta l'erba un fascio”, dal tennis esclusivo all'assistenza ai malati terminali.

“La questione più urgente è capire di cosa stiamo parlando – attacca Moro – l'etichetta 'non profit' fa più male che bene, perché parte da una definizione negativa e finalizzata a inserire il settore in una mappa economica. È un'etichetta mutuata dal sistema di welfare americano, diverso dal nostro, che ha creato confusione, mettendo in un patchwork i ristoranti e le mense per i poveri, le cliniche religiose private e l'assistenza agli ultimi, creando numeri roboanti che non corrispondono alla realtà”.
Spiega che quell'alone di benemerenza che avvolge indistintamente tutto il settore si è poi rivoltato come un boomerang quando è emersa Mafia Capitale, ribaltando l'effetto negativo su tutta la categoria. “Ormai è un business, in cui i grandi uccidono i piccoli, in una gara nel rapporto con la pubblica amministrazione alla ricerca di servizi in outsourcing. Ma dobbiamo anche chiederci del valore sociale, che non sta nella forma organizzativa bensì nelle attività svolte”.
Spiega che la nuova legge dà la definizione secondo tre logiche diverse: “La finalità, le forme giuridiche e le attività per l'interesse generale. Ci sono spinte e interessi contrapposti, il volontariato gratuito e i servizi a pagamento, l'idea di una Confindustria del terzo settore e libertà dell'azione civica fuori dal mercato. Le conseguenze non criminali sono le peggiori, certe cose potevano non avvenire prima o dopo la legge, non perché illegali ma perché ingiuste, come quelle slot machine dentro a un oratorio”.

“Quando ho letto il libro ho pensato 'il re è nudo' – commenta Marina Galati, della Comunità Progetto Sud – ma eravamo tutti consapevoli del fatto che ci fossero cose che non andavano, è arrivata finalmente la critica”.
Sottolinea la responsabilità delle istituzioni, che hanno introdotto l'“isomorfismo” delle associazioni, con effetti omologanti, ma anche sulla perdita di identità: “A 20 anni non volevo essere definita volontaria, ma comunitaria, era una trasgressione per costruire un mondo diverso. Oggi sono storie di precarietà, senza futuro, l'identità degli assistenti si appiattisce sugli assistiti, mentre dobbiamo tornare a una advocacy per costruire la tutela dei diritti”.

Pietro Barbieri, del Forum del Terzo Settore, sottolinea come si sia passati da una concezione solidaristica, contenuta nelle leggi che regolano il settore, ad una basata sulla competizione, con la direttiva Bolkenstein.
“Le gare mettono in competizione le associazioni per legge – aggiunge – nei rapporti fra pubblica amministrazione e terzo settore conta più il codice degli appalti che la riforma. Sono fallite gare anche per questioni più grandi, come il Mose o Expo. L'assessore alla Legalità di Roma, Sabella, si era inventato la rotazione, ma col risultato che ci siamo trovati a fare cose mai fatte, che non ci interessavano. Dobbiamo portare alla legittimità il rapporto fra Pa e terzo settore senza scontri né coltelli”.
Ricorda ad esempio che il 4% del Pil generato dal settore è in ambito sanitario, regolato da leggi che non distinguono fra profit e non. “I principi sono: il fatto di rispondere a un interesse generale, la non lucratività, ed essere un meccanismo di solidarietà e mutualità”.

Giulio Marcon ricorda che alcune tendenze erano già state messe in evidenza dagli anni '80, come il rischio di commercializzazione e di istituzionalizzazione, secondo un rapporto della Johns Hopkins University.
“Con lo smantellamento del welfare pubblico sono stati affidati al terzo settore servizi fondamentali, con meccanismi di business, e le leggi rischiano di accentuare queste dinamiche. Bisogna ricostruire gli anticorpi, con la cultura politica, la professionalità, la dimensione ideale. Negli anni ottanta si parlava di 'soggetto politico', ma nel senso di capacità di azione sul bene comune, sull'interesse generale, sulla capacità di visione del futuro”.

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Parole chiave: terzo settore (61), welfare (91), non profit (16)
Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)