A 25 anni dal muro: il brusco risveglio dell'Est Europa

Le trasformazioni avvenute in questi 25 anni nell'Europa centro-orientale secondo Toni Nicolov, docente di filosofia all'università di Sofia. Innanzitutto «per i cambiamenti occorre tempo»: la transizione dal comunismo alla democrazia ha portato grandi contraddizioni sociali. Tanto da spingere strati popolari a rimpiangere il comunismo con «il lavoro assicurato, il frigorifero pieno, lo stato sociale».

A 25 anni dal muro: il brusco risveglio dell'Est Europa

Venticinque anni dopo la caduta del Muro di Berlino, in tutti i paesi dell’Europa dell’Est, al di là alle celebrazioni ufficiali, si è molto discusso sugli avvenimenti del 1989 e soprattutto sui cambiamenti intervenuti nel passaggio dal modello sovietico a quello democratico e di libero mercato.
«Nel 1989 era il tempo delle speranze», «la gente sognava la libertà e una vita migliore», racconta a Sir Europa Toni Nicolov, docente di filosofia all’università San Clemente d’Ocrida di Sofia (Bulgaria) e caporedattore del portale Cultura. Per i grandi cambiamenti «erano necessari molto tempo e lavoro», mentre il periodo di transizione non ha portato solo aspetti positivi: per questo oggi «c’è chi rimpiange il comunismo».

Professore, dopo la caduta del Muro e della Cortina di ferro quali erano le speranze dei cittadini dell’Europa centro-orientale?
«Tutti volevano un cambiamento. In seguito si è capito che i singoli paesi se lo immaginavano in modo diverso. Allo stesso tempo si cercava di riformare il comunismo dall’alto mentre le masse spingevano dal basso. La gente sognava la libertà, maggiori diritti, la possibilità di viaggiare ma anche una vita migliore, stipendi più alti, la fine dei privilegi fino ad allora riservati all’élite. Nel 1989 era il tempo delle speranze, tutti credevano che in due, tre, massimo cinque anni le cose sarebbero cambiate radicalmente. In seguito si è compreso che non sarebbe andata così».

Quali cambiamenti nella politica, nell’economia, nell’opinione pubblica sono avvenuti in questi 25 anni?
«Secondo il famoso dissidente polacco Adam Michnik, "all’inizio ci siamo avviati da qualche parte nella nebbia ma nessuno conosceva la strada". Alcuni cambiamenti - come la libertà di espressione, la stampa, i partiti democratici - sono arrivati subito. Ma per costruire le istituzioni democratiche e uno stato di diritto era necessario del tempo. In alcuni paesi sono nati gruppi di criminalità organizzata, è iniziata la ridistribuzione dei beni prima concentrati nelle mani dello stato e qui i protagonisti erano di nuovo appartenenti al regime comunista. I cambiamenti in Ungheria, nell’ex Cecoslovacchia e in Polonia avvenivano più velocemente perché lì l’iniziativa privata non era totalmente annientata. Mentre in Bulgaria e Romania il processo delle riforme era molto più lento».

In quali punti le attese non corrispondevano alla realtà?
«Le persone volevano che tutto fosse diverso, subito; ma ciò non poteva capitare con la bacchetta magica. Erano le stesse persone abituate alle strutture e al modo di vivere del comunismo. Inoltre è emersa una grande stratificazione nelle società postcomuniste, dove prima regnava un certo egualitarismo. Uno dei grandi sogni del 1989 era l’Europa, diventare cittadini europei. Oggi, secondo i sondaggi, tante persone rimpiangono il comunismo per il lavoro assicurato, il frigorifero pieno, lo stato sociale. Il problema è che non si ha un’immagine reale di quell’epoca. Ora, quando gli storici aprono gli archivi, si scopre che il quadro presentato alla gente dai dirigenti del partito era falso».

Qual è stato il ruolo delle chiese cristiane per il superamento della Cortina di ferro e quale impatto hanno avuto i cambiamenti su di esse?
«In Polonia, per esempio, la libertà è arrivata tramite la chiesa, soprattutto grazie a Giovanni Paolo II. Anche nella Germania dell’Est le rivolte popolari erano appoggiate dai pastori protestanti. Nel mondo ortodosso i processi erano diversi perché per la loro essenza ecclesiale le chiese ortodosse difficilmente avrebbero potuto partecipare in modo organizzato. Dopo i cambiamenti, le comunità cristiane sono uscite dalle catacombe e hanno riavuto il posto nella società che spettava loro come centro di spiritualità, educazione e azione caritatevole. Nella chiesa cattolica in Polonia, nella Repubblica Ceca, in Ungheria questo è accaduto molto velocemente. Anche in Russia il Patriarcato di Mosca ha ripristinato la sua autorità. Nella chiesa ortodossa in Bulgaria, invece, è avvenuto uno scisma superato solo nel 2002, mentre in Ucraina sono sorte diverse chiese ortodosse».

Venticinque anni dopo la caduta del Muro, la maggior parte dell’Europa è all’interno dell’Ue. Questo garantirà la pace duratura nel Vecchio continente?
«Non abbiamo altre garanzie. Abbiamo l’esempio della storica riconciliazione tra la Francia e la Germania. La riunificazione ha dato enormi possibilità agli europei dell’Est. I quali, però, speravano che i cambiamenti avvenissero più velocemente e si aspettavano un intervento maggiore da parte dell’Europa. Ma questo avrebbe significato una violazione della sovranità nazionale e non rientra nei principi dell’Europa unita. Non si possono importare dei modelli esterni: c’è bisogno di tempo e di lavoro».

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Parole chiave: cortina di ferro (1), Est Europa (1), Muro di Berlino (8), comunismo (7), Russia (23), Unione Europea (43)
Fonte: Sir