Gianna Jessen, la fede nella vita di una donna sopravvissuta all'aborto

La parrocchia di Valli di Chioggia ha ospitato Gianna Jessen, la trentanovenne statunitense, originaria del Tennessee, sopravvissuta all’aborto. Una testimonianza di fede e di amore per la vita.

Gianna Jessen, la fede nella vita di una donna sopravvissuta all'aborto

Nel 1977, sua madre, all’epoca diciassettenne incinta di un coetaneo, quando ormai era quasi al termine della gravidanza, si sottopose a un’iniezione in utero di una letale soluzione salina, che bruciasse il feto affinchè venisse poi espulso già morto.
Gianna nacque viva – fatto rarissimo dopo questa procedura – e non essendo presente in clinica il medico responsabile, che, in casi simili, soffocava o strangolava i bambini che non erano già morti per l’iniezione, un’infermiera chiamò un’ambulanza per portare la piccola in ospedale.

Gianna dimostrò una straordinaria forza vitale, ma già dalle primissime ore dovette affrontare conseguenze durissime: la soluzione salina interruppe la trasmissione di ossigeno al cervello procurandole una paralisi. I medici furono unanimi e concordi nel dire che non avrebbe mai potuto muoversi o camminare.
La piccola fu così abbandonata in un orfanotrofio e, soltanto a diciassette mesi, fu accolta da una donna generosa, Penny, che rifiutandosi di dare ascolto a tutte le diagnosi negative, l’ha accudita amorevolmente e Gianna, a tre anni, cominciò a fare i primi movimenti.

Grazie a quell’amore, che riconosce come amore di Dio, Gianna vive, canta, ride e testimonia la forza della vita.
La straordinaria testimonianza di questa donna speciale, la sua essenziale semplicità sta proprio nell’affermare e nel riconoscere che il suo dolore e il suo cammino, su quelle gambe che ancora fanno tanta fatica a portarla e a tenerla dritta, hanno uno scopo, che è il senso stesso della vita, sua e di tutti: l’amore di Gesù.

Gianna non considera la sua disabilità come una menomazione: spiega e testimonia a chi crede di poter giustificare l’eliminazione della disabilità come un favore, che la sua stessa vita disabile è il bene più grande perché, semplicemente, è la testimonianza dell’amore di Gesù.
Ecco perché esorta chi l’ascolta a imparare ad avere rispetto di sé e a riscoprire i ruoli corretti, perché naturali, che ciascun essere umano deve avere per poter essere veramente realizzato e felice.

Gianna ha chiesto scusa ai numerosissimi uomini presenti all’incontro a Valli di Chioggia a nome di tutte le donne che hanno dimenticato la loro natura e hanno un atteggiamento aggressivo nei confronti della vita e ha fatto appello all’essenziale natura di protettori dei maschi perché imparino a difendere le figlie da una società che non valorizza la femminilità, ma la mercifica e la sfrutta.

Il suo è un messaggio di grande speranza: non vivere la vita lamentandosi con un atteggiamento da vittime, sprecando, di fatto, la vita, ma amare e proteggere la vita, sempre e comunque, perché l’esistenza umana, in quanto tale, è preziosa.

Ecco perché la disabilità non è mai un motivo per giustificare la soppressione della vita, quand’anche il più delle volte diventi solo una scusa per giustificare la mancanza di responsabilità o, peggio, la mancanza di valore, che è il motivo dell’infelicità sociale.

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