Il vescovo agli universitari: «Non rinunciamo mai a sognare in grande»

Martedì scorso a Santa Sofia, gli studenti e il vescovo Claudio si sono ritrovati per un momento di preghiera in quaresima. Il vescovo ha più volte invitato i giovani a partecipare alla veglia pasquale nelle loro parrocchie: «C’è ancora un po’ di tempo prima di Pasqua per maturare dentro di voi la decisione di essere cristiani». Le “malattie” dei dubbi: sfiducia e chiusura in se stessi

Il vescovo agli universitari: «Non rinunciamo mai a sognare in grande»

«Vuoi guarire?». Il mondo dell’università si è ritrovato nel tardo pomeriggio di martedì 28 marzo nella chiesa di Santa Sofia per pregare con il vescovo Claudio.

“L’acqua della vita” era il titolo per quest’anno di un appuntamento che si ripete di anno in anno in quaresima grazie alla pastorale universitaria, al centro San Massimo, ai collegi universitari cattolici e a tutte le associazioni cattoliche che operano con gli studenti delle università cittadine e che quest'anno aveva l'ulteriore valore di preparare questi giovani al sinodo diocesano che scatterà dal 3 giugno.

Con lo zaino sotto i banchi e una cartolina con l’illustrazione del sinodo dei giovani davanti ciascun posto, gli studenti si sono messi in ascolto del vangelo del paralitico guarito sotto i portici della piscina di Betzatà dopo il suggestivo momento della benedizione dell’acqua.

«Vuoi guarire?». Anche loro, provocati dal vescovo Claudio, si sentono ripetere la stessa domanda che Gesù pone al paralitico malato da trentotto anni. La preghiera introdotta da don Claudio parte dal segno dell’acqua. Un’acqua che esordisce in quaresima nel vangelo della Samaritana e trova la sua centralità nella liturgia battesimale della veglia pasquale:

«Vi invito a celebrare la veglia di Pasqua come momento fondamentale del vostro percorso di fede annuale. Il segno dell’acqua, che abbiamo anticipato con l’aspersione in mezzo alla navata, vi invita a confermare la vostra fede. C’è ancora un po’ di tempo prima di Pasqua per maturare dentro di voi la vostra decisione di essere cristiani».

L’acqua che dà vita: «Quest’acqua dove arriva produce frutto, dà vita, dà forza. E quando arriva al mare, lo sana tutto. È questa l’immagine di Dio. Tutti sono alla ricerca di quest’acqua: sotto i portici di Betzatà c’è un gran numero di infermi, di ciechi, di zoppi, di paralitici. Penso che tra quelle infermità ci siano anche le nostre, e non solo quelle fisiche. È giusto che ci fermiamo con i nostri malanni, con i nostri blocchi».

Il blocco più diffuso tra i giovani è la paura per un futuro incerto. E così, anche il vescovo confessa: «Non so se tornerei volentieri giovane. Anch’io avrei paura del mio futuro e delle domande: cosa vuole il Signore per me? Come essere contenti, realizzati, felici? Cosa ci riserva il futuro? Saremo in grado di costruirci una famiglia? Di trovare un lavoro?».

Ma di fronte alle “malattie” dei dubbi il vescovo Claudio invita i giovani universitari a giocare in attacco: «Facciamo resistenza ai sogni grandi. Diciamo a noi stessi che in fondo sono solo illusioni. Ma dobbiamo invece riconoscere il blocco che ci impedisce di sognare».

Le altre “malattie” prese in esame da don Claudio sono la sfiducia nei confronti del mondo e la chiusura in se stessi. Anche queste sono sotto i portici, in attesa che Gesù passi: «Gesù conosce e vede. Noi siamo un “tu” per Gesù, a cui si rivolge e sul quale conta. Così le nostre comunità invecchiate, sgangherate, magari aspettano proprio la nostra presenza».

E la domanda che fa Gesù è il segno di tutta la preghiera dei giovani: «“Vuoi guarire?” Gesù è disponibile a guarirci. Noi lo vogliamo?».

Gesù non solo invita il paralitico ad alzarsi e a camminare, ma anche a prendere la sua barella: «Ciò che ci permetteva di essere aiutati ora lo prendiamo in mano, diventa nostro». Dopo il rinnovo dell’invito del vescovo a partecipare alla veglia di Pasqua ciascuno nella sua parrocchia – «L’acqua possa riempirvi, sommergervi, e voi possiate essere contenti della vostra vita» – la preghiera si è conclusa nel silenzio, con le fronti bagnate dall’ultimo segno di croce con l’acqua benedetta, poi consegnata in boccette all’uscita dalla chiesa.

«I giovani – ha commentato alla fine don Roberto Ravazzolo del centro universitario – vivono a volte una chiesa che rischia di essere un lettuccio da conservare. Invece dobbiamo prendere in mano i nostri lettucci e metterci in cammino. La gente desidera autenticità»

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