Il 15 maggio 1924 nasceva il vescovo Filippo Franceschi. Priorità alle relazioni, fino all’ultimo

Il 15 maggio 1924 nasceva mons. Filippo Franceschi, che ha guidato la Diocesi di Padova per sei anni. Il ricordo di don Enrico Piccolo, suo segretario con don Ruggero Ruvoletto

Il 15 maggio 1924 nasceva il vescovo Filippo Franceschi. Priorità alle relazioni, fino all’ultimo

Subito dopo Pasqua un folto gruppo di preti padovani si è recato a Lucca, nella Diocesi e nel paese dove è nato un secolo fa, il 15 maggio 1924, mons. Filippo Franceschi, per otto anni vescovo di Padova, dove è morto il 30 dicembre 1988, concludendo una stagione pastorale breve ma intensissima, finita con il dirompente magistero impartito quando il male non lasciava tregua, nonostante la malattia, grazie alla malattia. A Lucca a ricordare “don Pippo” c’era don Enrico Piccolo che, allora giovane prete, assistette accanto a don Ruggero Ruvoletto alla malattia e alla morte del presule toscano. «Sono diventato prete – ricorda –nella seconda ordinazione di mons. Filippo (nella prima era stato consacrato don Ruggero, subito suo segretario). La sua nomina aveva portato in noi seminaristi una grande aria di novità, di attesa per questo frizzante prete toscano». Effettivamente il nuovo episcopato cominciò in salita: la visita a Padova di papa Giovanni Paolo II, il Giubileo, l’avvio del piano pastorale “Per una Chiesa di adulti”, l’inizio della visita pastorale... Trascorsi i primi quattro anni a Valdobbiadene, dove era arciprete don Luigi Rimano, caro amico del vescovo, a lui accomunato dall’attenzione al mondo sociale e del lavoro, don Piccolo fu chiamato nel settembre del 1987 in episcopio. «Sono diventato suo “sotto” segretario, affrontando un mondo sconosciuto e difficile, entrando nei modi della curia, accanto a una personalità complessa come quella di Franceschi, e ai suoi grandi collaboratori e amici come Paolo Doni, Alfredo Magarotto, Giancarlo Minozzi, Ivo Sinico, Antonio Gregori... Per fortuna, a farmi scuola c’era don Ruggero che aveva tutto saldamente in mano. Furono mesi intensi». In quello scorcio del 1987 ci fu l’avvio dell’anno pastorale “Una Chiesa che cammina con l’umanità”, l’ordinazione dei primi diaconi permanenti diocesani, il viaggio in America Latina. All’inizio del 1988 il primo convegno della Fondazione Lanza, creatura voluta da Franceschi per dialogare di etica col mondo della cultura. «Nel febbraio-marzo del 1988 – ricorda ancora don Enrico – la scoperta, quasi fortuita, della malattia: la prima reazione del vescovo è stata il senso di colpa, per non essersi preso abbastanza cura di sé: “Il Padre Eterno mi ha impallinato” diceva con ironica amarezza. Poi la terapia, pesante, affrontata con decisione e pazienza sotto la cura del professor Giuseppe Cartei nei periodici soggiorni a Udine. In quei primi mesi di cura, appena si riaveva un poco dalla chemioterapia, il vescovo aveva una dedizione totale alla Diocesi. Dopo il rifiuto iniziale, ha accolto la malattia come un passaggio della vita da vivere in pienezza, come la modalità con cui il Signore gli chiedeva di servire con dedizione la Chiesa da padre e da malato; un pezzo della storia personale che il Padre gli offriva per continuare a essere vescovo della Chiesa di Padova. È il periodo della messa crismale del 31 marzo, dell’intensa predicazione della Settimana santa pubblicata nelle “Parole di Pasqua”, del pellegrinaggio con i preti a Monte Berico...». Questo primo periodo finisce dopo le vacanze a Sella Valsugana, la prima metà di agosto, «contrappuntate da una processione infinita di gente. Dopo la messa dell’Assunta abbiamo visto che qualcosa non andava e da lì è iniziato il calvario vero e proprio, con momenti di annebbiamento intervallati ad altri di lucidità. Quando era lucido, fosse giorno o notte, programmava con ritmo incalzante quello che avrebbe fatto subito dopo: ci teneva soprattutto a incontrare le persone con cui aveva avuto qualche fatica di relazione, rapporti che voleva riprendere, riannodare. Appariva forte in lui il desiderio di ricucire, ripianare, dimostrarsi comunque riconoscente verso tutti. Quel periodo è culminato con la veglia dell’invio dei missionari il 21 ottobre. Verso Natale ha cominciato a spegnersi e la mattina del 30 dicembre è arrivata la fine. La Marcia della pace del 1° gennaio si è conclusa nella sala Capitolare, dove era stata allestito la camera ardente ed è stata una processione infinita di persone».

Altri due anniversari “episcopali”

La lunga storia della Chiesa di Padova annovera almeno due date “centenarie” che riportano al 2024. Nel 924, 1.100 anni fa, la tradizione colloca la morte del vescovo Sibicone, noto per la famosa donazione ricevuta nel 917, dall’imperatore Berengario I, della strategica “Val di Solagna” con l’obbligo di costruire castelli e opere di difesa del Canale di Brenta, in particolare contro le incursione ungare. Un atto importante per i confini della Diocesi, che ancora oggi si estende su buona parte dell’Alto Vicentino e sull’Altopiano dei Sette Comuni. Un salto di sei secoli e siamo al 1524: ancora una morte, quella del cardinale Marco Corner o Cornaro, nipote di Caterina regina di Cipro, canonico padovano dal 1501 (a 19 anni), vescovo di Verona e dal 1517 anche di Padova. In città fece il suo ingresso nel 1521. Il suo nome è legato politicamente alle trattative per riconciliare il papato con Venezia, facendolo uscire dalla lega di Cambrais. E culturalmente all’orazione recitata ad Asolo, in occasione dell’ingresso padovano, dal Ruzante: con il linguaggio dei villani fa il verso alla pomposa erudizione degli accademici.

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