Chernobyl, tra gli immigrati che lavorano nel "giardino atomico"

Scritto da Emanuela Zuccalà per Infinito Edizioni, l’e-book “Giardino atomico” porta sul luogo della catastrofe del 26 aprile 1986 per raccontare i disperati che sfidano le radiazioni pur di avere una casa, e fa il punto sugli effetti dell’esplosione mentre una nuova centrale è in costruzione nella vicina Bielorussia.

Chernobyl, tra gli immigrati che lavorano nel "giardino atomico"

«Villaggi che dovrebbero essere cancellati, per un livello di radiazioni tale da ammorbare senza ambiguità, invece esistono e resistono», popolati da gente che preferisce «nutrirsi di radionuclidi in un luogo tra i più intossicati al mondo, piuttosto che morire di fame in Kazakhstan, in Moldavia, in Daghestan».
Sono stati i nuovi occupanti delle località confinanti con la “zona morta” attorno all’ex centrale nucleare di Chernobyl, a spingere la giornalista Emanuela Zuccalà a tornare a 20 anni dalla tragedia sui luoghi del disastro e a raccontarli in un e-book pubblicato da Infinito Edizioni.
Il volume digitale unisce il reportage realizzato lungo il confine della “zona morta” attorno all’ex centrale, in un viaggio di quattrocento chilometri tra la Bielorussia e l’Ucraina, con un'inchiesta che fa il punto sulle contraddizioni esistenti tra quanto affermano i documenti ufficiali con le rilevazioni di alcuni studi indipendenti, sugli effetti delle radiazioni nel luogo del disastro.
I dati pubblici dell’Unscear (Comitato scientifico delle Nazioni Unite per lo studio degli effetti delle radiazioni ionizzanti) e del governo ucraino affermano che il pericolo è passato, ma le indagini indipendenti di Greenpeace e di Legambiente asseriscono che chi è tornato o si è trasferito a vivere sui terreni e nelle case nei dintorni della centrale è costantemente a rischio.

«Oggi, oltre cinque milioni di persone continuano a vivere in aree contaminate della Russia, dell’Ucraina e della Bielorussia – sottolinea Zuccalà – circa 270 mila non si sono mosse da quelle che l’Unione Sovietica aveva battezzato “zone di controllo permanente”, perché a elevata presenza di radiazioni».
La giornalista spiega che poiché le radiazioni si sono diffuse "a macchie” sul territorio, nel dubbio tante campagne altamente inquinate restano popolate e «negli anni queste terre malate sono diventate persino meta di immigrazione da paesi ex sovietici più poveri: Moldavia, Daghestan, Kazakhstan, Georgia. Le case vuote abbondano, i raccolti pure. La radiazione non si vede e non si sente».

Diverse le testimonianze raccolte, come quella, toccante del figlio di uno uno dei “liquidatori” della centrale di Chernobyl, inviati a spegnere il rogo del reattore, a evacuare l’area e a costruire in fretta e furia il sarcofago protettivo sul nucleo: «Avevo sedici anni, nel mio villaggio facevo la fame. Mio padre aveva lavorato in Ucraina e io avevo sentito che qui in Bielorussia c’erano case abbandonate da occupare e campi liberi da coltivare. Così sono venuto a Khomjenki, ho scelto una casa, quella in condizioni migliori, e ho trovato lavoro in una stalla poco lontano. Adesso la dirigo io».
«Mi sono trasferita a Khomjenki perché c’è lavoro: siamo solo trenta abitanti, tanta gente è andata via perché i boschi sono contaminati. Io ho i noduli alla tiroide, mia figlia Natalja ha problemi di stomaco e Dimitri sente dei rumori al cuore. Ma stiamo bene qui», afferma un’altra donna.

Il volume ricorda come sul pianeta ci sono 442 centrali nucleari attive e 65 in fase di realizzazione. Una di queste è nella vicina Bielorussia, ampiamente colpita proprio dalla nube radioattiva di Chernobyl.

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Parole chiave: Chernobyl (3), Ucraina (29), Bielorussia (4), nucleare (9)
Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)