Chiesa e società nella Grande guerra. Al via il corso della Societas veneta per la storia religiosa

Dopo la sconfitta di Caporetto, nell'ultimo anno di guerra il ruolo della struttura ecclesiastica, dai vescovi ai preti ai cappellani militari, è essenziale per la tenuta del paese. La chiesa italiana comunque è quella, tra le europee, che rimane più fedele alla linea della Santa Sede evitando eccessi nazionalistici e bellicistici. Il suo ruolo viene affrontato nel nuovo corso della Societas veneta, che si apre sabato 18 febbraio con un ospite d'eccezione.

Chiesa e società nella Grande guerra. Al via il corso della Societas veneta per la storia religiosa

Nel centenario della "disfatta", la Societas veneta per la storia religiosa, in collaborazione con la biblioteca del monumento nazionale di Santa Giustina, dedica alla grande guerra la 33ª edizione del suo tradizionale corso annuale, aperto a tutti gli interessati. Il ciclo di lezioni ha un titolo già  eloquente: "Chiesa e società nelle Venezie della grande guerra".
«Abbiamo voluto ricordare la grande guerra - commenta il presidente della Societas Marco Bolzonella - nel centenario di quel momento traumatico, dal punto di vista militare, politico e sociale, che ha determinato un punto di svolta per il conflitto sul fronte italiano e ha segnato in profondità il Veneto, sul cui territorio scorre tutto intero il nuovo fronte». 

«La rotta di Caporetto - sottolinea poi Gianpaolo Romanato, docente di storia della chiesa moderna e contemporanea a Padova e membro della Societas - ebbe, per quanto ci riguarda particolarmente, una conseguenza che pochi evidenziano: si ebbe infatti il momento di maggiore integrazione dei cattolici nello stato italiano, per il contributo che la struttura ecclesiastica nel suo complesso, i vescovi, i sacerdoti e le comunità  parrocchiali hanno dato alla tenuta del paese, soprattutto nella nostra regione».

«I paesi, specificamente quelli a ridosso del Piave ma non solo, si sono svuotati, gran parte della popolazione è scappata e a rimanere in piedi è stata quasi solamente la struttura ecclesiastica, come troviamo testimoniato nelle lettere a papa Benedetto XV inviate dai vescovi veneti, pubblicate da Antonio Scottà. Dall'epistolario si ricava inequivocabilmente il ruolo svolto dai preti nei mesi più tragici».

È questo in sostanza il momento in cui si conclude la questione romana, sanando la frattura tra cattolici e stato italiano; non a caso l'anno dopo la fine della guerra sarà  abrogato il "Non expedit" e nascerà il Partito popolare.
Il contributo dell'organizzazione ecclesiale nell'ultimo anno di guerra fu decisivo per l'aggregazione sociale, nonostante il permanere nelle istituzioni di una forte diffidenza nei confronti dei preti, un controllo serrato sull'operato dei parroci, che si temeva diffondessero idee di carattere disfattistico. 

In questo clima si colloca l'incredibile vicenda di mons. Dalla Valle a Este, ma anche di altri parroci del Veneto.
Rispetto a queste accuse, sono rimaste le lettere veementi rivolte alle autorità  politiche, a partire dal presidente del consiglio, e militari dal vescovo di Vicenza Ferdinando Rodolfi che stigmatizza il comportamento della magistratura militare nei confronti di parroci ai quali invece andavano riconosciute grandi benemerenze.
Anche il vescovo di Padova Pellizzo è su questa linea, forse con una componente più emotiva, stando a quanto emerge nelle sue lettere al papa, ma anche con un'autorevole fermezza come interlocutore primo dei comandi militari che, dopo Caporetto, si stanziarono proprio a Padova».

Il corso della Societas inizierà  sabato 18 febbraio alle 15.30 con una prestigiosa autorità  vaticana, padre Bernard Ardura, presidente del Pontificio comitato di scienze storiche, che approfondirà il tema "La Santa Sede di fronte alla grande guerra e allusciti gli atti con il titolo "Inutile strage" a cura di Lorenzo Botrugno. 

«Un convegno - commenta Romanato che vi ha partecipato in quanto membro anch'egli del comitato - da cui è emersa soprattutto la drammatica solitudine della Santa Sede quando scelse la linea dell'imparzialità, quindi di non schierarsi con nessuna delle parti in guerra. Perché la cattolicità  nei vari stati europei è invece risucchiata inevitabilmente verso le posizioni nazionalistiche e bellicistiche dei rispettivi paesi. Un fenomeno che riguarda anche la chiesa italiana, che pure è stata la più vigile nei confronti del rischio di assumere toni nazionalisti e maggiormente si attiene alle linee della Santa Sede, anche per il persistere di una certa diffidenza nei confronti dello stato italiano che la porta a sforzarsi di restare soprattutto vicina alla gente. Al contrario, la chiesa francese, quella austro-ungarica e quella belga assumono in larga misura posizioni di forte patriottismo e talora di aperto nazionalismo».
Bisogna dire che fu anche molto difficile per i vescovi e per la struttura ecclesiastica di base sottrarsi alle sirene nazionalistiche senza venir meno all'obbligo della solidarietà  verso i combattenti, davanti alle continue richieste di benedizione delle truppe in partenza, di funerali solenni, che portavano a un coinvolgimento sempre maggiore della chiesa nel clima della guerra. 

Gli altri appuntamenti

Il corso prosegue sabato 25 febbraio con Lorenzo Carlesso, dottore di ricerca dell'università  di Padova, che esporrà un proprio studio su "Interventisti e neutralisti a Padova: dallo scoppio del conflitto al maggio radioso". Un intervento di interesse non solo locale, visto che Padova è stata, con la sua università, uno dei centri più attivi dell'interventismo italiano. 

Sabato 11 marzo il docente padovano Filiberto Agostini si soffermerà  su "Guerra e società  nella disgraziata regione Veneta". Sabato 18 marzo Mariano Nardello, segretario dell'Accademia Olimpica di Vicenza, che ha studiato a fondo la situazione religiosa del Vicentino nel primo Novecento pubblicando atti di cronache parrocchiali e altro materiale prima, durante e dopo la guerra, concluderà il ciclo con un intervento su "Clero curato e popolo a ridosso del fronte: il caso vicentino".

Gli incontri si svolgeranno nella sala San Luca dell'abbazia di Santa Giustina (ingresso da via Ferrari, dietro l'abside della basilica), dalle ore 15.30 alle 18.

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