Leggere l'ultimo libro di Cottarelli per capire che presidente sarà (o potrebbe essere)

I sette peccati dell'economia italiana rischia di diventare quello che non è, ossia il manifesto di un politico dalla carriera fulminante. Cottarelli nella divulgazione si scopre meno tecnocrate: conosciamolo meglio.

Leggere l'ultimo libro di Cottarelli per capire che presidente sarà (o potrebbe essere)

Con il governo Cottarelli alle porte, tutti le redazioni d'Italia hanno rispolverato l'ultimo pamphlet dato alle stampe dal Presidente in pectore lo scorso febbraio nel tentativo di scorgervi tra le righe la fisionomia di un esecutivo e di una leadership tutta da scoprire.

Sappiamo molto, quasi tutto di Carlo Cottarelli: negli ultimi anni ha presenziato a numerosi talk show televisivi e radiofonici, è stato un protagonista della scena economica italiana e questo gli ha conferito una certa notorietà e popolarità trasversale. Proprio a questa popolarità si deve la sua fortuna come divulgatore, che l'ha portato a scrivere un libricino per Feltrinelli dal titolo quantomeno impegnativo: I sette peccati dell'economia italiana.

Non si tratta di un oscuro libro di memorie capace di ingolosire i retroscenisti, diciamolo chiaramente, ma di un'analisi senza troppi compromessi dell'economia nazionale.

Senza la pretesa di fare della letteratura, il nostro riesce a farsi leggere con discreto agio, evitando d'inciampare in troppi acronimi e inglesismi. Una lettura agevole pur non essendo facile, insomma, ma con qualche piccola concessione all'ironia e alla sintesi attraverso esempi semplici e metafore comprensibili come quelli relativi ai conti dell'idraulico, al prezzo della motocicletta... Una sana dose di realismo in 174 pagine, comunque, capace di affrontare di slancio tematiche spinose come corruzione, denatalità, evasione fiscale e burocrazia, riservando però all'Europa le pagine più interessanti.

Meglio vivere nell'euro che vivacchiare fuori

«Io credo sia meglio vivere nell'euro, piuttosto che vivacchiare fuori — scrive Cottarelli a pagina 137, per poi continuare alla seguente — Credo che l'economia italiana non sia stata capace di, o non abbia voluto, adattarsi all'euro e alle nuove regole che derivavano dall'appartenenza al club europeo, regole anche più importanti di quelle scritte nei trattati europei. È questo il peccato capitale determinante per spiegare la crisi degli ultimi vent'anni: l'incapacità di stare al passo con gli altri paesi europei una volta adottata la stessa moneta. Ma la via d'uscita non può essere una fuga dall'euro (come ho detto, sarebbe un po' come andare a giocare in serie B perché non si riesce a vincere in A). Per superare le difficoltà attuali occorre recuperare il tempo perso, soprattutto in termini di competitività e di produttività, il che è possibile anche restando nell'euro».

Cottarelli lotta contro le chimere, i ragionamenti capziosi e le illusioni antieuropee per tutto il capitolo, con un crescendo finale che merita di essere ripreso:

Non illudiamoci che il processo di crescita possa essere trainato dal settore pubblico; non illudiamoci che la spesa privata possa essere sostenuta dal credito bancario e soprattutto non illudiamoci che il processo di crescita possa essere trascinato da investimenti infrastrutturali europei.

A sentire l'aria che tira nella politica italiana c'è da prenderlo per matto, ma più probabilmente abbiamo a che fare solo con un liberale dalla solida formazione econometrica. 

Che Presidente potrebbe essere, quindi, il nostro autore?

Non è dato saperlo, molto dipenderà dal contesto nel quale si troverà a operare, ma una cosa è certa: non le manderà a dire. Come nell'ultimo capitolo, in cui identifica il vero e forse più importante peccato capitale dell'economia italiana con l'individualismo e col rifiuto delle regole portati all'esasperazione, che per essere superati necessitano di uno sforzo culturale di tutto il paese. 

È sulla cultura che si basa il mea culpa finale dell'economista Cottarelli, più portato ai numeri che al contesto sociale del Paese: senza una rinnovata educazione civica e comunitaria non c'è incentivo, sussidio o riforma che tenga. Una riflessione che è da sperare sappia (e possa) mettere in pratica come Presidente del Consiglio, nel tempo che gli avanzerà dal riordino dei conti pubblici e in quello che gli concederanno i partiti.

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