IV Domenica di Quaresima *Domenica 10 Marzo 2024

Giovanni 3,14-21

IV Domenica  di Quaresima *Domenica 10 Marzo 2024

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.

Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. 

E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

È un guazzabuglio il cuore umano, dice Alessandro Manzoni. E la storia che ne deriva non ha né capo né coda! – afferma di conseguenza Eugenio Montale. Ne dava conferma molti secoli prima anche Israele, andando a ripassare per sommi capi quanto aveva vissuto. 

«In quei giorni, tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà, imitando in tutto gli abomini degli altri popoli, e contaminarono il tempio, che il Signore si era consacrato a Gerusalemme» (2Cr 36,14). Non era, purtroppo, solo un incidente di percorso, la distrazione di un momento: era diventata la prassi di sempre, che Dio tentava di rattoppare mandando «premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché aveva compassione del suo popolo e della sua dimora. Ma essi si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti» (36,15-16). E così la stupidità diventa presto ottusità lucida, disprezzo calcolato, addirittura indifferenza esibita. Una storia così non poteva che finire «a Babilonia, dove il re [dei Caldèi] deportò gli scampati alla spada, che divennero schiavi suoi e dei suoi figli» (36,20)

«Lungo i fiumi di Babilonia – recita il salmo responsoriale – là sedevamo e piangevamo, ricordandoci di Sion. Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre» (Sal 136,1-2). Un dolore e una vergogna, che stracciavano l’anima. Inaccettabile ogni giustificazione! «Il peccato sempre davanti!» (51,5). Impossibile pensare ad altro! «Se mi dimentico di te, Gerusalemme – torna a ripetersi il salmo – si dimentichi di me la mia destra. Mi si attacchi la lingua al palato, se lascio cadere il tuo ricordo, se non innalzo Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia» (136,5-6). Meglio morire, meglio amputare braccia e gambe e aver la lingua paralizzata, piuttosto che dimenticare tanta bellezza perduta. Questo provavano gli ebrei a Babilonia, pronti a scaraventare i figli di chi li teneva prigionieri contro la roccia, se in qualche maniera avessero toccato l’argomento. 

Capivano dopo il valore di quanto avevano prima. E, insieme a loro, lo capiva anche Dio. Perché anche lui si rodeva l’anima, incapace di strappare Israele dal suo cuore. «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io, invece, non ti dimenticherò mai. Ecco, sulle palme delle mie mani ti ho disegnato, le tue mura sono sempre davanti a me» (Is 49,15-16). E allora?! 

E allora, se Israele non dispone di nessun giusto che lo possa salvare, Dio stesso se lo va a trovare fuori da Israele. E, guarda caso, addirittura in colui che fa da carnefice a Israele. Infatti, «il Signore suscitò lo spirito di Ciro, re di Persia, che fece proclamare per tutto il suo regno: “Egli mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!”» (2Cr 36,23). Come mai?

«Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se, dunque, voi, «che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!» (Lc 11,11-13). Anche se non glielo chiedono. Semplicemente per il dolore che stanno soffrendo.

«Dio, infatti, ha tanto amato il mondo – rivela Gesù a Nicodemo – da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16). È una confidenza che Gesù fa a chi con il cuore in guazzabuglio lo cerca tra le tenebre, dentro e soprattutto fuori del tempio. «Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (3,17)

«Dio, ricco di misericordia – ci chiarisce Paolo – per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati!» (Ef 2,5)

Altro che sbattere i figli dei babilonesi contro la roccia, come pensavano gli ebrei! Il Padre per amor nostro ha sbattuto suo figlio su una croce, su una collina appena fuori Gerusalemme. E così il serpente antico, che, verde di veleno, ci aveva resi non più uomini, ma vermi della terra, crocifisso tra il cielo e la terra, si è trasformato in farmaco di guarigione per tutti noi. Infatti, «come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (3,14)

Guardalo nel crocifisso che Francesco d’Assisi pregava a San Damiano. Sta, sì, sulla croce, ma non più con il colore terreo della morte, ma vivo e splendente anche nelle sue ferite. La testa non è più reclinata nel rantolo della fine, ma alta con gli occhi ben aperti che guardano a metà, ponte dalla terra al cielo, dalla sofferenza alla gioia. Il collo è gonfio di Spirito Santo, spirito di amore e la testa non è più coronata dalle spine, ma da un alone di gloria. Il corpo, non più piegato a verme come nei crocifissi medievali, è diritto, colonna di risurrezione. E i fianchi non sono più coperti da uno straccio di vergogna, ma resi solenni del velo della preghiera. Quel Cristo, infatti, non è più il disgraziato che Pilato condanna a morte. Quel Cristo ora è il sommo sacerdote che introduce il mondo nel Sancta Sanctorum della misericordia infinita del Padre.  

«E ciò, fratelli – ci spiega ancora Paolo – non viene da voi, ma è dono di Dio!» (Ef 2,8). Un sogno! «Chi crede in lui non è condannato» (Gv 3,18) ma «viene verso la luce» (3,21), dovunque sia. E con la luce ogni guazzabuglio trova pace. I figli, che prima finivano sbattuti con rabbia contro la roccia, si moltiplicano ora in cristalli di Risurrezione. Fuori da ogni sepolcro, fermenti della nuova Pasqua di Cristo.

frate Silenzio

Sorella allodola

Anche contromano Dio trova la strada per salvare i suoi figli!

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