Coldiretti alla "guerra del grano": a rischio il futuro di 300 mila aziende

Rispetto allo scorso anno, il grano duro ha perso 10 punti percentuali. Se l’andamento del mercato si manterrà costante, a rischio ci sono la sopravvivenza di oltre 300 mila aziende agricole, la desertificazione di interi territori e la minore qualità di ciò che portiamo in tavola. Coldiretti alla “guerra del grano”, con migliaia di coltivatori a Roma davanti al ministero delle politiche agricole.

Coldiretti alla "guerra del grano": a rischio il futuro di 300 mila aziende

Con 12 mila ettari coltivati a grano duro nel territorio veneto, la produzione del cereale si fa notare anche nella nostra regione registrando un fatturato che si aggira intorno ai 28 milioni di euro.
L’interesse per la sua semina è aumentato anche per merito di imprenditori locali che fanno scelte virtuose, come Pierantonio Sgambaro, dell’omonimo pastificio, che da sempre pratica accordi di filiera con gli agricoltori per una produzione tutta italiana, la prima riconosciuta a km zero, rispettosa dell’ambiente e del diritto al lavoro di centinaia di operatori agricoli.
Dalla Puglia la sua attenzione si è spostata a Nordest, in quello che viene ora definito il “granaio padano” in quanto le variazioni climatiche hanno spostato nel territorio emiliano, friulano e veneto le varietà selezionate di frumento che danno migliori performance qualitative e quantitative.

Nonostante ciò anche in Veneto le importazioni dall’estero e le speculazioni di mercato stanno facendo crollare il prezzo del grano su valori inferiori a quelli di 30 anni fa
Rispetto al 2015, il prodotto, nello stesso periodo, ha perso 10 punti al quintale. La situazione veneta rientra nel dossier preparato da Coldiretti che ha indetto la “guerra del grano” organizzando un blitz di migliaia di coltivatori a Roma davanti al ministero delle politiche agricole.
Va ricordato che le quotazioni dei prodotti agricoli dipendono sempre meno dall’andamento reale della domanda e dell’offerta e sempre più dai giochi finanziari e dalle speculazioni che trovano nel Chicago board of trade il riferimento del commercio mondiale delle materie prime agricole su cui chiunque può investire anche con i cosiddetti contratti derivati.

Il risultato è che oggi il grano duro per la pasta viene pagato anche 18 centesimi al chilo, mentre quello tenero per il pane è sceso addirittura ai 16 centesimi al chilo, su valori al di sotto dei costi di produzione che mettono a rischio il futuro del granaio Italia. In pericolo, dunque, non ci sono solo la produzione di grano e la vita di oltre 300 mila aziende agricole, ma anche un territorio a rischio desertificazione e l’alta qualità per i consumatori garantita dalla produzione italiana.

Va ricordato poi che dal grano alla pasta i prezzi aumentano di circa il 500 per cento e quelli dal grano al pane addirittura del 1.400 per cento, ma agli agricoltori non vanno che pochi centesimi.
«Dai campi agli scaffali – dichiara il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo – ci sono margini da recuperare per non far chiudere le aziende e non pesare su un sistema produttivo che ha bisogno del made in Italy per essere credibile sui mercati».
Occorre investire nella programmazione strutturale per non perdere il patrimonio di qualità e biodiversità dei grani italiani. L’Italia è il principale produttore europeo di grano duro, destinato alla pasta, che assume un’importanza rilevante data l’elevata superficie coltivata, pari a circa 1,3 milioni di ettari per oltre 4,9 milioni di tonnellate di produzione che si concentra soprattutto in Puglia e Sicilia, che da sole rappresentano il 42 per cento della produzione nazionale. Più limitata la produzione di grano tenero, pari a 3 milioni di tonnellate su 0,6 milioni di ettari.

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