Cristiani e musulmani: a Padova 20 anni di dialogo

Dopo le prese di posizione sull’opportunità di concedere spazi pubblici ai fedeli musulmani per le celebrazioni del Ramadan, si è creata una grande attesa per la reazione della chiesa. In realtà più che risposte da dare, magari via Facebook, c’è una storia da raccontare. La storia di una relazione che chiede però consapevolezza e verità soprattutto da parte dei cristiani. Nel numero di domenica 6 luglio un ampio servizio sul tema.

Cristiani e musulmani: a Padova 20 anni di dialogo

Ha scelto il 24 giugno, il nuovo sindaco di Padova Massimo Bitonci, per dire la sua sul Ramadan e sull’opportunità di aprire palestre e sale pubbliche al culto dei musulmani. Un “mai più” giunto via Facebook e letteralmente deflagrato nel web. A molti non sarà sfuggito che in quel martedì la chiesa faceva memoria di Giovanni Battista, il santo che ha precorso i tempi, aprendo la strada alla venuta di Cristo.

Il punto nodale di questa vicenda però non sono le prese di posizione del nuovo sindaco. È stato semmai curioso vedere come da più parti, non appena il post è apparso sui social network, sia partita la caccia alla “reazione della chiesa”, la ricerca spasmodica di una dichiarazione di un sacerdote, se non del vescovo stesso, che potesse suonare come quella ufficiale di tutto il popolo di Dio. Ma più che una posizione da prendere, esiste un vissuto da raccontare. Un’esperienza quotidiana che dura ormai da vent’anni, durante i quali la chiesa ha intessuto un dialogo continuo con i cittadini di fede musulmana che sempre più numerosi sono arrivati in Veneto.

Si è aperta così un’«inedita cura pastorale», come la definisce don Giuliano Zatti, responsabile del Servizio diocesano per le relazioni cristiano-islamiche, fatta soprattutto di gesti e attenzioni da parte dei singoli. Ogni parrocchia a contatto con un gruppo musulmano organizzato è coinvolta di fatto in questa nuova dimensione, un tempo inimmaginabile e, inutile nasconderlo, a tratti anche scomoda. Dal 2000 sono iniziati anni di incontri, di comunicazioni, di scambio proficuo tra credenti delle due fedi, e in questo probabilmente la chiesa di Padova, nel suo piccolo, le orme del Battista le ha seguite per davvero, facendosi a tratti supplente di pubbliche istituzioni che si stavano chiedendo come affrontare quella che appare ancora oggi un’eterna emergenza.

Scegliere la relazione con le comunità islamiche presenti sul territorio da un lato è l’unica scelta possibile, dall’altro significa puntare decisamente in alto. Non ci sono alternative al dialogo, perché l’annuncio del vangelo e la chiesa stessa sono dialogici per loro natura: senza relazione perderebbero di significato. È incontrando, discepoli e gente comune, che lo stesso Giovanni ha preparato la strada al messia. La posta in gioco di converso è molto alta; perché richiede anzitutto dei testimoni credibili. Il contatto con l’islam sollecita tutti i cristiani a un salto di qualità nella consapevolezza della loro fede e nella loro preparazione religiosa.

Anche questa è una controprova del fatto che il tempo del credo sostanziato di abitudini e frasi fatte, di prese di posizione prive di un vissuto significativo alle spalle, è terminato per sempre. Non c’è più spazio per i «cristiani da salotto», per dirla con papa Francesco. La relazione chiede verità, trasparenza e disponibilità e può realizzarsi solamente a partire da una profonda presa di coscienza di se stessi e della propria spiritualità.

Anche se in Italia la situazione è molto diversa da Francia e Germania (800 luoghi di preghiera da noi e più di duemila per ognuno dei due paesi d’Oltralpe) l’islam rappresenta un elemento ormai stabile del nostro panorama sociale. Lo dimostrano i dati: oltre cento centri islamici in Veneto, per lo più di proprietà delle associazioni che li gestiscono, e un numero crescente di cittadini musulmani impegnati nel volontariato, nel sindacato e in politica, come registra l’islamista Maria Bombardieri. Questo conferma la definitività della scelta compiuta da molti degli immigrati giunti dal Maghreb, dal Medio Oriente o dal Pakistan: il nostro paese è la loro seconda patria.

Nei confronti dei credenti musulmani ci sono però alcune precise attese, tra cui un’assunzione di responsabilità nei confronti delle persone e delle norme che regolano la vita sociale italiana e veneta, un’adesione convinta ai doveri civici oltre allo sforzo di creare relazioni, invece di rimanere chiusi in se stessi. «I nostri centri devono oggi aprirsi – afferma l’imam Layachi – diventare luoghi di formazione per cittadini musulmani tesi al bene comune, a servizio del paese. Siamo alleati nella costruzione della società del futuro, incontriamoci sul terreno dei valori come la famiglia, la solidarietà, la collaborazione, il rispetto della costituzione».

E proprio nella costituzione è sancito quel diritto inviolabile che risponde al nome di libertà di religione. Vale dunque la pena di ricordare che tocca all’autorità pubblica vigilare perché i cittadini, ogni persona, possano esercitarlo, sempre naturalmente nel rispetto della legalità e delle esigenze di ordine pubblico. Il futuro è già qui insomma. La società italiana di domani va costruita e attende i credenti al varco. C’è bisogno di persone che sappiano guardare avanti. Un esempio c’è già: la chiesa lo ricorda il 24 giugno.

Nel numero disponibile on line e in distribuzione da domani nelle edicole e nelle parrocchie un ampio servizio.

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