Franca Porto saluta la Cisl. «La democrazia ha bisogno di ricambio»

La sindacalista vicentina lascia la segreteria regionale della Cisl dopo nove anni. Una scelta del tutto personale che le ha fatto dire di no anche alle sirene romane e della politica. Qui traccia un bilancio della sua esperienza, dal primo incontro col sindacato agli anni di piombo fino alla difficile stagione della crisi.
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Franca Porto saluta la Cisl. «La democrazia ha bisogno di ricambio»

Orgogliosa del suo essere donna e dei risultati ottenuti in quanto donna. Orgogliosa delle proprie radici cattoliche. Convinta che la democrazia ha bisogno di rotazione.
È Franca Porto, da nove anni segretario generale della Cisl del Veneto, che lo scorso 25 febbraio, per scelta personale non per obbligo o vicende esterne, ha passato il testimone anzitempo a Onofrio Rota, 48 anni trevigiano proveniente dal settore dell’agroalimentare.
Porto concluderà, infatti, con tre anni di anticipo, rispetto al mandato naturale, la sua responsabilità nel sindacato. «Rinnovamento, ringiovanimento e discontinuità» le parole d’ordine che l’hanno portata già da mesi a prendere questa decisione e a preparare il ricambio generazionale con l’obiettivo di aiutare la Cisl a «continuare a essere il grande sindacato che è sempre stato».

Franca Porto, vicentina classe 1959, manifesta così, in modo netto, la propria idea di democrazia fondata «sul fatto che le responsabilità devono essere a tempo».
Poteva accettare le proposte della Furlan e andare a Roma, piuttosto che quelle della politica o dall’associazionismo. E invece niente.

«Nella stragrande maggioranza dei casi – commenta – i leader tendono a essere eterni. Questo è un modo per uccidere la partecipazione, per ridurre la trasparenza e aumentare i livelli di opacità».
Parla chiaro. «Mi ha sempre dato fastidio quando un sindacalista passa automaticamente da un posto all’altro. Non voglio riprodurre questo meccanismo».

Dopo il 25 febbraio intanto Franca Porto si ferma...
«Sarà il dono che mi faccio per riprendere fiato, dedicarmi alla mia casa, alla mia famiglia, alle mie amicizie».

E sì che la sua storia con il sindacato è cominciata molto tempo fa. Franca Porto inizia a lavorare a 14 anni alla Dersa di Castelnovo e due anni dopo è già iscritta alla Cisl. Come mai?
«Mi sono iscritta alla Cisl con convinzione, perché era il sindacato di mio padre e perché in parrocchia a Castelnovo le Acli e l’Azione cattolica organizzavano dibattiti su temi legati al lavoro durante i quali ho potuto anche incontrare sindacalisti della Cisl. All’inizio degli anni Ottanta ho cominciato a fare la sindacalista nei tessili, la Filta-Cisl».

Il suo essere donna in quegli anni nel sindacato cosa ha voluto dire?
«Anche il sindacato è sempre stato un ambiente maschilista e lo è ancora. Sono cambiate le donne più del sindacato. In quegli anni Bruno Oboe (già segretario provinciale e regionale della Cisl, ndr), con il suo gruppo dirigente, fece una scelta importantissima. Si rese conto che il cambiamento generazionale era fortissimo e quindi aprì la Cisl ai giovani e alle donne. La chiamarono “la stagione dei cento fiori”. Io sono uno dei cento fiori di quella stagione».

Qual era il clima di allora?
«Era molto complicato. Era la fase in cui chiudevano le camicerie, i maglifici. Tutto quello che era stato il lavoro attraverso il crescere di fabbrichette del decentramento produttivo, chiuse nel giro di cinque anni. È vero che le persone avevano la cassa integrazione e trovavano lavoro in fretta, però c’era un disagio molto forte. Era un clima molto duro. Erano gli anni di Autonomia operaia, del terrorismo rosso e nero. Erano gli anni in cui è cominciato quel cambiamento che ora chiamiamo crisi e allora si faceva una grande fatica a comprendere e ad affrontare seriamente. Sono stati anni molto difficili dove la differenza principale rispetto a oggi era che allora il lavoro non mancava».

Maturare in parrocchia

"La parrocchia è stata importantissima anche per i processi di rottura. Due esempi: i baci rubati al cinema mentre il cappellano girava con la pila e il referendum sul divorzio che per me fu uno shock. Lì ho scoperto la dialettica, il pluralismo e che è la persona che alla fine deve scegliere". 

Nella sua formazione attribuisce un ruolo centrale alla parrocchia.
«La mia era una famiglia classica veneta: corte, campi, fabbrica, scuola, in cui si leggeva e si discuteva molto e si frequentava la parrocchia che non era solo il luogo delle funzioni religiose, ma anche dove si andava al cinema, si andava all’oratorio a giocare, a discutere, a fare incontri. Era un luogo di crescita. Lì ho insegnato dottrina e fatto l’animatrice di Azione cattolica. Questo mi ha aiutato ad assumermi delle responsabilità. La parrocchia è stata importantissima anche per i processi di rottura. Due esempi: i baci rubati al cinema mentre il cappellano girava con la pila e il referendum sul divorzio che per me fu uno shock. Lì ho scoperto la dialettica, il pluralismo e che è la persona che alla fine deve scegliere. Questo poi mi ha aiutato nel far la sindacalista. Ha voluto dire vivere insieme libertà e responsabilità, elemento questo che poi ho ritrovato nella Cisl come valore».

Franca Porto leader sindacale. Quali fatiche, resistenze, soddisfazioni?
«Ho avuto molto di più di quanto hanno avuto le altre donne dentro la Cisl e ritengo, però, di essermelo guadagnato molto di più di quello che hanno dovuto guadagnarselo i maschi che hanno avuto lo stesso percorso. Le difficoltà sono state tante. Una parte sono personali, perché il mio privato è stato sacrificato a un percorso che è totalizzante. Ma non sono pentita, perché ho scelto consapevolmente. Poi c’è la fatica interna all’organizzazione. Non erano forme di boicottaggio per il fatto che ero una donna. Però essere in una riunione importante con trenta persone in cui sei l’unica donna e magari relativamente giovane è molto faticoso. È faticoso per i codici di comportamento, per i linguaggi, e questa è una fatica ancora irrisolta».

Ha una figura femminile a cui si rifà?
«Due nomi: la vicentina Rina Saugo, grande donna del tessile, una staffetta partigiana, una donna che lavorava al lanificio Ferrarin, una grande militante. E Tina Anselmi. Di lei amo ricordare che imparò – come scrisse – che non bisogna mai avere paura di un padrone duro, bisogna avere paura di un padrone scadente perché, scrisse, “scadenti gli uni, scadenti gli altri”. Trovo questa cosa di grande attualità: poniamoci il problema della nostra qualità, del nostro lavoro e attraverso questo facciamo del bene alle comunità in cui viviamo».

Lei lascia in un tempo molto complesso. Quale la preoccupazione maggiore rispetto alla situazione attuale?
«Sono stata eletta nel febbraio 2007 e questi in assoluto sono stati gli anni più duri della mia esperienza sindacale. Anni in cui è crollata la possibilità di crescere sempre e migliorare attraverso il lavoro per tante persone comuni. Un numero elevatissimo di persone, perdendo il lavoro, si è trovata schiacciata sulla soglia di povertà e tirarli fuori da lì è stato faticosissimo. E non ci siamo riusciti per tutti. È il dolore di questi anni, anche se il lavoro dei sindacalisti è stato davvero enorme. C’è quindi l’emergenza di far riemergere dall’impoverimento questi ultracinquantenni. Accanto a quest’urgenza c’è quella dei giovani che sono fuori da quelle che noi consideriamo le normali reti di protezione. Anche per tutte queste situazioni oggi più che mai è il tempo della politica e serve una nuova classe dirigente. Rispetto a questo il mondo cattolico ha una responsabilità e deve fare la sua parte».

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