Il milite ignoto al crocevia della memoria nella "Locomotiva" di Luigi Mardegan

Nel suo nuovo spettacolo sulla Grande guerra l’attore e autore trevigiano porta in scena cinque personaggi che ricordano e soprattutto esprimono le drammatiche prese di coscienza che la guerra ha causato.

Il milite ignoto al crocevia della memoria nella "Locomotiva" di Luigi Mardegan

Quando ancora sulla grande guerra non si erano accesi i riflettori del centenario, il trevigiano Luigi Mardegan, attore e regista con decenni di attività alle spalle, ha messo in scena uno spettacolo “profetico” come Mato de guera di Gian Domenico Mazzocato.
Oggi, mentre quello spettacolo sta viaggiando senza cenni di stanchezza verso le trecento repliche, forte anche dei 17 premi nazionali ottenuti, Mardegan torna su questo capitolo di storia e “si fa in cinque” per interpretare un altro testo, di cui è anche autore, La locomotiva, sceneggiato e diretto da Roberto Cuppone con la supervisione storica e iconografica di Giovanni Callegari.

I cinque personaggi a cui Mardegan dà vita si raccolgono attorno al convoglio che, nel primo dopoguerra, sta portando a Roma la salma del milite ignoto e che la scenografia esprime in modo essenziale con due ruote e una caldaia. Una presenza, quella della locomotiva, di chiaro valore simbolico perché c’è chi ha definito la grande guerra come la “prima guerra ferroviaria” per l’importanza assunta dal trasporto veloce consentito dalla strada ferrata. Una presenza simbolica anche per il valore assunto da questo mezzo nella rivoluzione industriale e umana in atto.
La presenza delle cinque figure dà volto ai diversi atteggiamenti che esprimono i ricordi di una tragedia ancora aleggiante nell’aria, ma anche le chiare, sofferte prese di coscienza di ciò che la guerra ha significato e, infine, il desiderio di guardare avanti per non restare accecati dal passato. Gigi il macchinista passa la parola a una contadina in lutto, che la guerra ha trasformato in operaia e il dopoguerra in disperata “recuperante”; poi a un militante anarchico lacerato tra l’utopia e la distruzione, in fuga verso un gesto che sarà forse quello estremo.
Il testimone passa quindi a un cappellano militare, forse la figura più emozionante di quelle impersonate da Mardegan, che la guerra ha ferito a morte nell’anima prima ancora che nel corpo, facendogli scoprire nei fatti e non solo a parole che prima di tutto viene la pietà: la notte da lui trascorsa accanto al soldato disertore che sarebbe stato fucilato il giorno successivo è tratta dai diari di don Franzoni ed esprime con viva drammaticità il dramma umano e spirituale dell’uomo di pace costretto ad assistere a troppe morti.
L’ultima parola spetta a un cieco di guerra venditore di oroscopi e un po’ poeta che, proprio attraverso la sua menomazione, trova la forza di guardare avanti e incitare alla rinascita, perché la sofferenza della guerra, nel bene e nel male, ha cambiato l’Italia: ha dato alla donna una nuova percezione di sé, delle sue capacità, dei suoi diritti; ha contribuito a costruire negli animi per pastori e dei loro fedeli una fede intrisa di misericordia più che di colpa; ha dato anche ai corpi feriti indelebilmente dalle bombe una sfida da perseguire a dispetto della eterna ciclicità della follia umana.

«Portare in scena la grande guerra – commenta Luigi Mardegan – mi ha dato molto in questi anni, come interprete e come uomo. Ho capito quanto profondamente questi anni abbiano inciso sulla nostra terra e la nostra gente, al punto da trovarne traccia perfino nei ricordi ancestrali della cultura popolare veneta. E ancora oggi sento vivo il desiderio di ricordare, di dare volti alla memoria dei nostri padri e dei nostri nonni».
Lo spettacolo, dopo il debutto trevigiano al Comunale, verrà portato in scena da Satiro teatro ancora a Treviso, al teatro Aurora, il 6 febbraio e poi a Vicenza in via Ozanam, a cura della Fita, il 13 marzo.

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