Si risparmia ancora, nonostante la crisi

La crisi c'è e si fa sentire. Ma dalle indagini sul tema – in particolare la più recente dell’associazione della casse di risparmio e di Ipsos – emerge chiaramente che gli italiani continuano a risparmiare. Per il quarto anno consecutivo, infatti, nel 2016 è cresciuta (di 3 punti percentuali) la quota di quanti affermano di essere riusciti a risparmiare negli ultimi dodici mesi. Ma il dato nasconde un forte cambiamento nelle attitudini e nelle scelte delle famiglie.

Si risparmia ancora, nonostante la crisi

Italiani, veneti, ancora “formichine”? In passato non c’erano dubbi: il risparmio è sempre stato un valore.
Forse per le origini rurali, anche quando il benessere ha portato alle casse familiari qualche quattrino in più, i cittadini di casa non hanno mai smentito la loro fama di essere silenziosi accumulatori, poco amanti degli sperperi. Le lire, poi gli euro, generalmente finivano in banca o in investimenti sicuri, come i titoli di stato, oppure nel mattone, in case o appartamenti.

Ma oggi, come vanno le cose? La virtù della parsimonia è ancora viva, presente, praticata?
Dalle indagini sul tema – in particolare la più recente dell’associazione della casse di risparmio e di Ipsos – emerge chiaramente che gli italiani continuano a risparmiare.
Per il quarto anno consecutivo, infatti, nel 2016 è cresciuta (di 3 punti percentuali) la quota di quanti affermano di essere riusciti a risparmiare negli ultimi dodici mesi: passano dal 37 per cento dell’anno precedente al 40 attuale, il dato più alto dal 2003, superando di gran lunga coloro che consumano tutto il reddito (il 34 per cento, erano il 41 nel 2015).
Al contempo, però, tornano ad aumentare le famiglie in saldo negativo, dal 22 per cento del 2015 al 25 attuale, perché cresce il numero di coloro che intaccano quanto accantonato (dal 16 per cento dello scorso anno al 19 attuale) e rimane costante al 6 la percentuale di chi ricorre a prestiti.

In questa situazione, il numero di italiani propensi al risparmio rimane comunque elevato – sono l’88 per cento (nel 2015 erano il 90) – ma cambia la loro composizione.
Se nei primi tempi della crisi era andato aumentando il numero di persone che non vivevano tranquille se non mettevano da parte qualcosa, da due anni questa tendenza è in ridimensionamento: nel 2014, infatti, erano il 46 per cento, nel 2015 il 42, oggi sono il 37. Prevalgono, invece, coloro che ritengono sia bene fare dei risparmi ma senza troppe rinunce; oggi sono la maggioranza assoluta (51 per cento, più 3 punti percentuali) a testimonianza di un affievolirsi dell’ansia di non riuscire a mettere via nulla. Al contempo aumenta la percentuale di coloro che preferiscono “godersi la vita” senza pensare ad altro: sono l’11 per cento (come nel 2006), in salita rispetto al 2015 (8 per cento).

Ma che cosa significa risparmiare per gli italiani?
Per il 63 per cento vuol dire attenzione alle spese superflue ed evitare gli sprechi; solo per il 10 significa guadagnare più di ciò che si riesce a spendere; quindi, per la maggioranza, «l’attuale cultura del risparmio ha tratti molto moderni, richiamando la responsabilità sociale del consumatore e la sostenibilità delle sue scelte di consumo nel lungo periodo».
All’idea del risparmio, l’italiano associa innanzitutto quella di tranquillità (45 per cento), una sicurezza che nasce dal sacrificio (43) dell’oggi per un futuro maggiormente tutelato (35). Il risparmio è, infatti, ritenuto utile per le famiglie ai fini di garantire la fase di ritiro dall’attività lavorativa (44 per cento fondamentale, 33 importante); per la programmazione del futuro (42 fondamentale, 36 importante); per un’educazione al consumo responsabile (39 fondamentale; 38 importante).

Riguardo agli investimenti, ancor più che nel passato, chi ha risorse disponibili mostra una forte preferenza per la liquidità: riguarda due italiani su tre; inoltre, chi investe lo fa solo con una parte minoritaria dei propri risparmi; sembra, poi, che l’investimento ideale non esista più: il 32 per cento ritiene che proprio non ci sia (maggioranza relativa, più 5 punti percentuali rispetto al 2015), il 30 lo indica negli immobili (più 1 punto percentuale), il 30 ritiene i prodotti finanziari i più sicuri (meno 5 punti percentuali rispetto al 2015, un calo dovuto probabilmente ai bassi tassi attuali). Ultimi, con l’8 per cento, sono coloro che indicano come ideali gli strumenti finanziari più rischiosi (scendono di 1 punto percentuale rispetto al 2015).
Il risparmiatore italiano è sempre più attento alla (bassa) rischiosità (dal 43 al 44 per cento) rispetto alla sola solidità del proponente (dal 28 al 24) e cresce di 5 punti percentuali l’attenzione ad attività che aiutino lo sviluppo dell’Italia (dal 13 al 18).

Insomma, quello che si delinea è il ritratto di un risparmiatore che rifugge il rischio, perché ritiene sempre più di non essere sufficientemente tutelato da leggi e controlli: nel 2016 il 74 per cento parla di garanzie non efficaci, mostrando una brusca inversione di tendenza rispetto agli ultimi due anni (era il 58 nel 2015, il 65 nel 2014, il 72 nel 2013) e c’è sempre meno fiducia che la tutela del risparmiatore aumenti nei prossimi 5 anni (il 19 per cento pensa che il risparmiatore sarà più garantito, mentre il 67 ritiene che lo sarà meno). Questo spiega come mai, considerando lo scarso rendimento degli investimenti ritenuti più sicuri, a fronte di un aumento di capacità di risparmio, cresce al contempo la preferenza per la liquidità.

Il Veneto e il risparmio

Nel 2015 (in base al rapporto statistico della regione) è aumentato il tasso di risparmio, che è tornato a crescere dopo aver toccato il minimo nel 2012.
Il rapporto dei veneti con il risparmio è particolare: nei primi anni di crisi hanno cercato di mantenere il tenore di vita costante, a dispetto di una riduzione dei loro risparmi; poi si sono contratti i consumi più che proporzionalmente rispetto alla caduta del reddito, in forma precauzionale di fronte a una percezione di aggravamento della situazione; infine oggi i veneti distribuiscono l’aumento del reddito in parte in consumi e in parte in risparmio. Questo cambio di comportamento si presta a più di una interpretazione: che sia stata percepita dalle famiglie la chiusura del ciclo recessivo? O è un segnale di prudenza rispetto all’incertezza della perdita di valore degli assets immobiliari e alla situazione delle banche italiane?

Ma dove mettono i veneti i propri risparmi?
Secondo la Banca d’Italia la preferenza delle famiglie (ma anche delle imprese) per gli investimenti a basso rischio, facilmente liquidabili, e i modesti rendimenti offerti sui mercati obbligazionari hanno continuato a influenzare la dinamica del risparmio finanziario. A giugno 2016 i depositi bancari delle famiglie e delle imprese sono cresciuti del 6,5 per cento, sostenuti dall’aumento delle giacenze dei conti correnti (12,8 per cento) e in particolare di quelli delle imprese (in crescita del 15,0 per cento). Il valore degli investimenti in prodotti della raccolta bancaria a scadenza è invece diminuito, sia per la componente dei depositi a risparmio (meno 5,2 per cento) sia per quella obbligazionaria (meno 27,6 per cento).
Il valore ai prezzi di mercato dei titoli a custodia (azioni, obbligazioni, titoli di stato, quote di fondi comuni di investimento, ecc.) nei portafogli si è ridotto del 17,5 per cento alla fine dello scorso giugno (meno 7,8 per cento a dicembre del 2015), risentendo del forte calo del valore degli investimenti azionari (meno 49,9 per cento), penalizzati dal deprezzamento delle azioni delle due maggiori banche popolari venete non quotate e dall’andamento negativo della borsa italiana.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Parole chiave: risparmio (15), soldi (6), famiglie (44), reddito (42), crisi (96)